Referendum per legalizzare l’aborto in Irlanda, gli exit poll: “Ha vinto il sì con il 68%”

Un giorno «storico», agli occhi di molti. Di sicuro un passaggio destinato a segnare un’epoca tanto per i vincitori quanto per gli sconfitti, e soprattutto per le donne. L’Irlanda, terra di secolari radici cattoliche incamminata sulla scia del resto d’Europa verso la secolarizzazione, ha deciso oggi a larghissima maggioranza in favore dell’aborto libero in un referendum che ha diviso la sua gente, ma certo non a metà.

Gli exit poll non lasciano margini di dubbio: 68% contro 32 stando a quello realizzato da Ipsos per l’Irish Times, addirittura 69,4% contro 30,6 secondo la tv pubblica Rte.

Un voto per voltare pagina insomma, che suggella il trionfo del fronte favorevole all’abrogazione dell’articolo 8 della Costituzione, sulla tutela della vita del nascituro, introdotto nel 1983 per cementare il divieto di fatto dell’interruzione della gravidanza, salvo casi eccezionali di pericolo diretto per la vita della madre. Un divieto che per anni aveva significato viaggi all’estero a migliaia per chi voleva abortire.

 

La giornata di bel tempo, almeno per gli standard irlandesi, ha favorito, come speravano i sostenitori del sì, attestatasi alla fine attorno al 70%. In uno scenario per certi versi simile a quello di un altro referendum contrastato e assai simbolico, sfociato giusto tre anni fa nel via libera ai matrimoni gay.

 

I 6.500 seggi sono stati aperti alle 7 locali per chiudere alle 22 (le 23 in Italia). E il risultato ufficiale è atteso per la mattinata. Ma i giochi sono fatti circa, la scelta di campo degli elettori della Repubblica (3,3 milioni gli aventi diritto) pare essere stata ancora ancor più netta del previsto, malgrado le divisioni di una campagna referendaria che ha lacerato la coscienza nazionale, il tessuto sociale, il retroterra etico e la tradizione religiosa di un popolo. Tutto deciso da un quesito secco e dalla risposta di circa due terzi dei votanti all’alternativa fra sì e no (“ta” o “nil” in gaelico, “yes” o “no” in inglese) proposta sulle schede.

 

Le previsioni – nonostante qualche sondaggio finale più prudente – non erano mai parse in effetti in bilico nelle settimane precedenti alla consultazione, pure animate da forti e diffuse contrapposizioni: fra aree urbane tendenzialmente “pro-choice”, donne in testa, e zone rurali a impronta antiabortista; ma anche fra generi, fra establishment e outsider, nonché fra una generazione e l’altra, con gli anziani più inclini verso il no, i giovani e l’età di mezzo verso il sì, e uno zoccolo duro non irrilevante di giovanissimi di nuovo attratto dagli argomenti pro-life. Un dibattito che, secondo gli usi locali, è proseguito anche a seggi aperti, a colpi di tweet libero. In rete si sono così riproposti gli schieramenti: a favore della liberalizzazione d’un progetto di legge già pronto tutti i leader istituzionali, i maggiori partiti (pur con la clausola della libertà di coscienza per deputati e militanti obiettori), i media che contano, le star irlandesi del jet set internazionale; contrari i movimenti per la vita (oscurati peraltro pubblicitariamente dai colossi del web per timore di presunte «interferenze straniere»), singoli dissidenti di partito e gruppi cattolici. Ma con la gerarchia spesso defilata, oltre che azzoppata nella sua autorità morale da anni di scandali e insabbiamenti su pedofilia e non solo.

 

«No all’aborto on demand», aveva twittato fino all’ultimo Peadar Toibin, deputato pro-life dello Sinn Fein, evocando lo spettro di una deregulation totale. «Cmon Ireland! Facciamo la cosa giusta per le grandi donne della nostra nazione», gli aveva replicato la celebrity del pop Niall Horan, ex One Direction. Un appello, quello di Horan, condiviso apertamente dal premier liberale di Dublino, Leo Varadkar, gay dichiarato e promotore di un referendum visto come «opportunità di una sola generazione» per mettere «fine ai viaggi della disperazione di troppe donne». In queste uno dei vincitori è certamente lui.

LA STAMPA

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