Dalla nuova stretta Usa contro Teheran un possibile danno da 30 miliardi per l’Italia

PAOLO BARONI
ROMA

Petrolio innanzitutto, ma anche meccanica, engineering, componentistica e infrastrutture. Da solo l’interscambio tra Italia ed Iran vale 5 miliardi di euro, 2 miliardi di esportazioni e 3 di import (essenzialmente greggio). Ma la partita rischia di essere ben più importante per noi: le nuove sanzioni americane contro Teheran rischiano infatti di produrre danni ben maggiori. «È una situazione difficile e delicata – commentava già nei giorni scorsi il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia -. Essendo un Paese ad alta vocazione di export e con gli accordi che abbiamo fatto in Iran, questa situazione sicuramente non ci fa bene. Anzi può farci del male».

In ballo tra accordi già sottoscritti e protocolli di intesa da finalizzare (che da soli valgono 4 miliardi di euro, alcuni dei quali coperti da riserbo, visto che interessano società quotate) c’è un potenziale di investimenti pari a 27 miliardi di euro che porta il totale complessivo degli affari a rischio-sanzioni oltre quota 30 miliardi. In ambito Ue, infatti, l’Italia è tra i principali partner commerciali dell’Iran: con una quota del 3% è infatti l’ottavo fornitore di Teheran, mentre è il suo sedicesimo cliente con una quota di mercato dello 0,8%. Dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, gli Usa avevano più volte chiesto all’Italia di rallentare la corsa a Teheran ma tali avvertimenti sono caduti nel vuoto.

 

Oltre all’Eni, che da anni presidia il comparto economicamente più importante, quello del petrolio, un po’ tutti i nostri grandi gruppi sono presenti in Iran o stanno per sbarcarci con nuovi progetti. Tra le imprese più attive Fs, Ansaldo, Danieli, Fata, Maire Tecnimont e Immergas. Lo scorso ottobre Ansaldo Energia ha firmato un memorandum d’intesa per sviluppare il mega giacimento South Pars (14 miliardi di metri cubi di gas). Le Fs, dopo aver concluso un accordo da 1,2 miliardi di dollari per la linea Arak-Qom sono invece interessate anche al progetto dell’alta velocità Teheran-Qom-Isfahan. Mentre Leonardo, attraverso Atr, partecipa ad una maxicommessa di IranAir da 38 miliardi di dollari. A sua volta Maire Tecnimont ha prima firmato un memorandum d’intesa da un miliardo con Persian Gulf Petrochemical Industries Company e quindi sottoscritto un accordo di consulenza ingegneristica col complesso petrolchimico Ibn-e Sina.

 

Ma non è tutto. Come era già emerso in occasione della missione dell’agosto 2015 guidata dall’allora ministro degli Esteri Gentiloni sono molti i settori di interesse : dalle autostrade all’ambiente, alle energia rinnovabili, dalla meccanica ai materiali edili, all’automotive, alla difesa (elicotteri e navi) sino a servizi finanziari, gioielleria, pelletteria e alimentare. Ed è proprio per dare una spinta ai tanti progetti che a gennaio Invitalia Global investment ha siglato un accordo quadro con due banche iraniane, la Bank of Industry and Mine e la Middle East Bank. L’operazione che ha un valore di 5 miliardi per sbloccare i vari progetti finora congelati per il rischio-paese.

LA STAMPA

 

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