Il primo sì del Pd ai 5 Stelle. Renzi furibondo con il Colle

Perchè un personaggio cauto e poco scoppiettante come Maurizio Martina, «reggente» di un Partito democratico senza nocchiero, ieri ha deciso di forzare la mano e aprire al dialogo sul governo con i Cinque Stelle?

Matteo Renzi, ieri, veniva descritto come «furibondo» da tutti quelli che hanno avuto modo di parlarci. E furibondi e spiazzati erano tutti i suoi, con un sospetto in testa: «A mandarlo avanti è stato Mattarella». L’ala non trattativista del Pd è convinta che dal Quirinale, per uscire dall’impasse, si sia spinto per scongelare il fronte Dem, in concorso con i vari Franceschini, Fassino, Orlando e Delrio, il capogruppo alla Camera che con Mattarella ha un filo diretto. «Invece dal Colle non hanno mosso un dito, per settimane, per agevolare l’intesa tra M5s e centrodestra, anzi», dice una parlamentare Pd. Del resto, fa notare un altro dirigente, «sarebbe bastato che Mattarella bloccasse sul nascere i veti grillini contro Berlusconi, per far nascere il governo dei vincitori delle elezioni. Ma non lo ha fatto: in fondo resta sempre quello che si dimise da ministro contro la legge Mammì…».

Così Martina, spinto autorevolmente avanti, nelle ultime ventiquattro ore, si è mosso con decisione inaspettata verso l’apertura, prendendo in contropiede i renziani. Prima dell’incontro ufficiale con l’esploratore grillino Fico, al Nazareno si è consumato uno scontro durissimo tra il reggente e il presidente Orfini e il capogruppo al Senato Marcucci, con Delrio e Guerini a fare da mediatori. «Martina aveva già sbracato su tutto, a cominciare dal programma: era pronto a mettere sul tavolo i suoi tre punti paragrillini, tanto per farsi dire subito di sì», raccontano i testimoni. Gli è stato chiesto di alzare almeno un po’ il prezzo, ma il risultato è stato che comunque, ora, è il Pd a ritrovarsi con il cerino in mano: andare al confronto con i Cinque Stelle o assumersi la responsabilità di probabili elezioni anticipate.

Renzi ha immediatamente scatenato il fuoco di sbarramento dei suoi, che uno dopo l’altro hanno dichiarato la loro indisponibilità a votare un governo pentastellato. L’hashtag «senza di me» è riesploso sui social media, animato dagli iscritti che vedono come il fumo negli occhi un cedimento al grillismo. E nella Direzione che mercoledì prossimo dovrebbe decidere la linea i renziani hanno ancora la maggioranza, «anche senza Martina e Franceschini».

Ma il partito rischia di implodere: se il reggente si presentasse con una relazione sulla linea governista, e venisse bocciata, Martina si dovrebbe dimettere. Di qui ad allora, quindi, si lavorerà per evitare un redde rationem che spaccherebbe i Dem.

Il no renziano, del resto, rende difficilmente praticabile la strada del dialogo: un governo Cinque Stelle-Pd, al Senato, si reggerebbe su una manciata di voti. Bastano e avanzano quelli dei pasdaran dell’ex segretario per far saltare i numeri. «Giusto che decida la Direzione: io voterò contro ogni accordo con i Cinque Stelle», dice Sandro Gozi, e con lui decine di altri parlamentari. «Eravamo e restiamo alternativi ai Cinque Stelle», sottolinea Orfini, ribadendo la propria contrarietà a ogni accordo.

I trattativisti puntano sul fattore tempo, per ammorbidire le resistenze e far salire la paura del voto anticipato come unica alternativa. «Se ci chiedono di dire sì o no in 48 ore, la risposta sarà no. È probabile che giovedì Fico faccia un secondo giro», dice Delrio.

IL GIORNALE

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