Facebook, Zuckerberg apre alle regole: «Una legge per aiutarci tutti»

Davanti alle Commissioni del Senato, Mark Zuckerberg ha rinunciato alla solita maglietta e alle certezze consolidate. «Ho sbagliato e chiedo scusa», sono state le parole con cui ha esordito nell’audizione seguita in diretta tv praticamente da tutto il mondo. Completo blu, camicia bianca e cravatta azzurra, il fondatore, presidente e amministratore delegato di Facebook, si è presentato visibilmente contratto e, per così dire, con le mani alzate. I senatori lo hanno accolto con ruvida cortesia, come il repubblicano John Thune: «Lei impersona il sogno americano, ma siamo preoccupati che questo sogno diventi un incubo per la privacy». Il democratico Bill Nelson lo ha avvisato: «Ci aspettiamo che si rimedi a questa situazione, se non agisce Facebook, lo dovrà fare il Congresso»

Scuse e buona fede

Innanzitutto Zuckerberg ha riconosciuto «il grave errore» che lo ha costretto a esporsi, e non era mai accaduto, in prima persona: gli 87 milioni di profili sottratti da Cambridge Analytica e venduti, all’insaputa dei diretti interessati, al comitato elettorale di Donald Trump e della Brexit. Il giovane imprenditore si è impegnato a fondo per convincere i parlamentari e la comunità dei due miliardi di utenti su due punti fondamentali. Primo: il gruppo dirigente ha sicuramente sbagliato, «è stato troppo lento» a reagire alle interferenze dei russi nelle presidenziali americane del 2016 e in altre elezioni. Ma ora la società ha piena consapevolezza della gravità di quelle manovre: «Stiamo collaborando con il super procuratore Robert Mueller. La nostra cooperazione è chiaramente riservata e non posso rivelare altro». Poi ha aggiunto: «Con la Russia è come una corsa agli armamenti, tentano di sfruttare i nostri sistemi. Dobbiamo far prima di loro».

Tempo di regole

Il fondatore di Facebook ha ripetuto più volte che verrà garantito «il massimo rigore» sull’identità degli utenti («Diventeremo poliziotti del sistema che ci ruota intorno») in modo da evitare ondate difake news o di propaganda avvelenata: «Stiamo verificando la natura di migliaia di account». L’altro tema è il «pieno controllo» dei profili. «Facebook assicura a tutti gli utenti la possibilità di cancellare in ogni momento i propri post e le proprie informazioni». Ma a Zuckerberg è perfettamente chiaro che il volontarismo dell’azienda questa volta non basta. Ecco allora l’apertura a un intervento anche legislativo. Prima ancora che arrivino le domande è lui stesso a suggerire una regolamentazione: «La legge potrebbe cristallizzare le norme sul trattamento dei dati personali, stabilendo che cosa le piattaforme possano e non possano fare. Inoltre i legislatori potrebbero dare alle persone la sicurezza di poter disporre in maniera piena del proprio profilo e delle proprie informazioni»

Modello Europa

La senatrice democratica Dianne Feinstein chiede esplicitamente se «le norme europee», molto rigide in tema di protezione sulla privacy, possano essere un modello anche per gli Stati Uniti. Zuckerberg all’inizio oscilla: «In altri Paesi ci sono sensibilità diverse», ma poi concede anche questa apertura: «in ogni caso penso sia un esempio su cui valga la pena di discutere». Dopo quasi due ore di assedio, Zuckerberg riesce a piazzare un paio di battute. In apertura aveva rivendicato «l’orgoglio» di un’azienda «ottimista e idealista», la piattaforma perfetta per movimenti come quello di MeToo. Ma quando il senatore repubblicano Lindsey Graham gli chiede se si sente a capo di un monopolio, risponde con un lampo: «Non ho questa sensazione». E infine liquida le insinuazioni di un altro repubblicano, Ted Cruz, che immagina una specie di comitato politico incaricato di filtrare i contenuti del Social. «Non ho mai chiesto a nessuno dei miei quale fosse il suo orientamento politico».

Oggi si replica davanti alla Camera dei rappresentanti.

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