Steve Bannon: “Cinquestelle e Lega, è in Italia il cuore della nostra rivoluzione”

Maurizio Molinari
milano
 

C’è un rivoluzionario americano che si aggira per l’Europa e pensa che le elezioni del 4 marzo abbiano trasformato l’Italia nel «centro del mondo in rivolta». Steve Bannon, 65 anni, ci riceve nella camera di un hotel di Milano dove si alternano visitatori italiani e telefonate dagli Stati Uniti. Camicia sportiva, barba poco curata e BlackBerry sempre in mano, Bannon si considera demiurgo e interprete del movimento nazional-populista che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016 ed ha fatto vincere Lega e Cinquestelle nel voto di domenica scorsa. Ascoltarlo significa immergersi in una lettura del presente che sfida, rovescia e irride schemi, istituzioni, valori e alleanze sulle quali l’Occidente al momento si fonda ed articola. Da «rivoluzionario» come si definisce descrive il nostro mondo in maniera lucida e provocatoria.

 Al centro di tutto c’è il «nazional-populismo» che si è imposto in America «portando al centro gli individui, il ceto medio, privato del lavoro e del benessere da due fattori convergenti, il libero commercio ed i migranti». Nato a Norfolk, Virginia, in una famiglia di operai democratici, Bannon parla dei lavoratori come di vittime «a cui il commercio globale toglie prosperità e i migranti strappano i pochi lavori rimasti».

È una tenaglia che vede ripetersi ovunque «e spinge questi disperati a votare per la protesta ovunque possono, dalla Gran Bretagna alla Francia, alla Germania fino in Italia». Ed è qui, nel nostro Paese, che individua ora «il cuore della rivoluzione» perché di partiti espressione di tale «rivolta dei disagiati» ve ne sono ben due: Cinquestelle e Lega. «Il mio sogno è di vederli governare assieme» assicura, spiegando che «sono espressioni diverse dello stesso fenomeno e superano, assieme ad altre formazioni minori, la metà dei votanti». Ma preferisce Matteo Salvini a Luigi Di Maio «perché il leader della Lega rappresenta il Nord, ovvero tre quarti del Pil nazionale, mentre il leader Cinquestelle propone il reddito di cittadinanza, una versione dell’economia sussidiata, che manderà in fallimento le casse pubbliche in meno di due anni».

 

«La realtà è che Di Maio guarda a sinistra, vuole essere come Obama e Macron e cerca per questo l’intesa col Pd – spiega – mentre Salvini sta con il popolo, ha un cuore, essendo stato comunista e pensa solo a combattere libero commercio e migranti». Su cosa avverrà in Italia sembra avere idee chiare: «Se Salvini governerà con i cinquestelle sarà lui la forza trainante, se Salvini resterà all’opposizione potrà rivendicare il merito di aver sconfitto i corrotti come Berlusconi, se vi sarà un governo di unità nazionale sarà sempre Salvini ad imporre gli obiettivi a cuore al ceto medio» dunque, comunque andrà, «nel futuro d’Italia c’è la Lega, che strapperà voti al Sud ai cinquestelle grazie alle posizioni sui migranti». Se tutto ciò trasforma l’Italia nella «forza trainante del nazional populismo» è perché «siete più creativi di britannici, francesi e tedeschi, siete una nazione abituata a produrre grandi cambiamenti» e «qui abbiamo vinto perché i leader non erano squalificati con il grande pubblico come avvenuto a Marine Le Pen in Francia».

 

Bannon esclude che Trump – che lo ha allontanato dalla Casa Bianca, accusandolo di tradimento – possa sostenere Salvini o Di Maio «perché queste cose politiche non gli interessano» ma vede il tassello italiano parte di un mosaico più vasto. Su due fronti: in Europa «dove l’Ue sta già implodendo e l’Italia potrebbe rivelarsi determinante» e negli Stati Uniti «perché i nazional populisti nelle elezioni di Midterm per il rinnovo parziale del Congresso di Washington si batteranno contro il movimento Team Up». A suo avviso si tratta di uno scontro fra due rivoluzioni: «Noi vogliamo aggredire le sovrastrutture dei governi e restituire gli Stati ai cittadini, loro aggrediscono il patriarcato e vogliono famiglie senza figli». È uno scontro che potrebbe portare nel 2020 Oprah Winfrey a candidarsi con i democratici «e sono certo che lei batterebbe Trump perché la politica diventerà sempre più spettacolo, seguendo l’esempio di Berlusconi».

 

La possibilità di interferenze russe nelle elezioni in Paesi dell’Occidente non lo preoccupa affatto: «Ho combattuto i russi durante la Guerra Fredda, quando ero ufficiale in un sottomarino, e poi dal Pentagono ho assistito allo smantellamento del loro arsenale, li conosco e so che Mosca ha un Pil inferiore all’Italia ed allo Stato di New York, i suoi giovani fuggono all’estero più delle sue modelle, non è in condizione di minacciarci mentre è un nostro alleato naturale». Ed è qui che Bannon disegna un nuovo scenario di alleanze: «La Russia è bianca e anti-islamica, appartiene al nostro mondo euroamericano che deve invece guardarsi dai veri avversari ovvero Cina, Iran e Turchia». Mentre lo dice prende carta e penna e disegna su un foglietto il percorso della nuova «Via della Seta» di Xi Jinping «che unisce queste tre nazioni, frutto di civiltà antiche e combattive, tutte estranee alle cultura giudeocristiana».

 

Dunque «preoccuparsi della Crimea invasa dai russi non ha senso, perché i veri nemici sono a Pechino, Teheran ed Ankara e ci stanno aggredendo nel Mar della Cina, nel Golfo e nel Mediterraneo». Da qui la conclusione che i legami della Russia con Lega e Cinquestelle «fanno i nostri interessi» a differenza di chi «continua a tramare con Bruxelles e Bce per impoverire sempre di più il ceto medio». L’intento della rivoluzione di Bannon «è rafforzare i cittadini e quindi le loro nazioni, indebolendo le sovrastrutture che li vessano e tassano come Ue e Bce». Per questi Stati «sovranisti» all’orizzonte c’è la necessità di spendere di più per la difesa «perché l’America non combatterà più per voi ed oggi spende assai più degli alleati in Europa e Asia, dove mettiamo soldi nella difesa e riceviamo in cambio guerre commerciali».

 

Ottimista sul futuro dell’Italia, convinto che la sorte dell’Ue sia segnata e nemico giurato di Pechino, Bannon non esclude che Trump «possa rinunciare a candidarsi nel 2020» ma assicura: «Se ciò dovesse avvenire, i nazional-populisti avranno nuovi leader capaci di vincere, come il senatore Tom Cotton dell’Arkansas e Nikki Haley, ambasciatrice all’Onu». La rivoluzione continua.

LA STAMPA

 

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