Esiste il pulsante nucleare? Così Trump e Kim ordinano l’attacco (in 5 minuti senza freni)

Le notizie dalla penisola coreana segnalano voglia di dialogo. Netto cambio rispetto alla polemica a distanza tra Trump e Kim Jong-un, entrambi pronti a scatenare l’inferno nucleare. Non certo con il «bottone» citato nella polemica di questi giorni. Perché non c’è alcun pulsante. In caso di un confronto i leader devono seguire procedure precise. Molto sappiamo di quella statunitense, ben spiegata sul sito Bloomberg da Bruce Blair, ex ufficiale di lancio e ricercatore universitario. Più scarni i dati sui nord coreani.

Il presidente Usa chiama a consulto i principali collaboratori. La riunione può svolgersi nella Situation Room della Casa Bianca o altrove, magari all’interno della speciale tenda che protegge da intercettazioni e interferenze, nota come Scif. È facile da trasportare, possono montarla anche in una camera d’albergo. Fondamentale la presenza del numero due delle operazioni del Pentagono, collegato alla «war room». È lo snodo in grado di comunicare l’ordine d’attacco. Se i radar hanno captato un missile nemico in arrivo i tempi di reazione sono strettissimi, da 30 secondi ad un minuto.

Trump, dopo aver sentito i suoi uomini, autorizza il lancio. Nella «war room» un ufficiale certifica l’autenticità dell’ordine, estrae un codice, di solito composto da due lettere dell’alfabeto militare (tipo Charlie-Papa). Il presidente risponde leggendo i suoi codici che sono contenuti in una speciale scheda. Il dispositivo è all’interno di una valigetta, chiamato «football», pesante una ventina di chili, trasportata da un ufficiale che accompagna ovunque il numero uno americano.

La «war room» del Pentagono trasmette ai siti di lancio un messaggio protetto di 150 caratteri che contiene tutti i codici di autenticazione e quelli relativi ai target previsti. I sommergibili atomici in navigazione e i silos delle basi negli Usa ricevono la comunicazione in una finestra temporale di pochi secondi. Gli ufficiali incaricati dell’operazione procedono a nuove verifiche attraverso un sistema — Sas — messo a punto dall’agenzia Nsa e che muove lungo la catena di comando. Le «cifre» del Sas sono confrontate con quelle nelle casseforti.

È un’operazione rapida e complessa al tempo stesso. Cinque team ognuno con due militari e sparpagliati in punti diversi ricevono l’ordine. Scatta un ulteriore check dei codici, sbloccano gli ordigni, cambiano le coordinate dei bersagli, estraggono da casseforti le «chiavi» che vanno inserite nelle consolle. Nel momento designato dal Pentagono attivano i missili «girando» simultaneamente le cinque «chiavi». Sui sommergibili il compito ricade sul capitano, un suo ufficiale e altri due militari. Anche qui c’è una doppia verifica. I tempi di reazione: una base è in grado di sparare un vettore dopo 5 minuti mentre per un sommergibile ne servono almeno 15.

Un vero bottone nucleare non ce l’ha nemmeno Kim Jong-un e nel suo arsenale ha solo una manciata di missili. La propaganda ci ha fatto sapere che in occasione dei lanci importanti il Maresciallo è sempre presente sul campo, controlla il Tel (Transporter erector launcher) il grosso camion che porta sulla piazzola di sparo l’ordigno. Poi si siede a una scrivania e osserva il volo con il binocolo e i computer. Un sistema rudimentale è impiegato in tempi di pace, in caso di crisi il leader userà un rifugio sotterraneo. Dalle foto diffuse da Pyongyang si è scoperto che dopo ogni test riuscito Kim scambia sorrisi e grandi abbracci con gli stessi tre uomini. Personaggi chiave del programma nucleare-missilistico. Le Tre Stelle sono state identificate come Ri Pyong Chol, capo del Dipartimento munizioni; Kim Jong Sik, scienziato missilistico, il Von Braun nordcoreano; Jang Chang Ha, responsabile dello sviluppo armi. I tre sono stati scelti personalmente da Kim Jong-un quando salì al potere nel dicembre 2011, alle morte del padre.

CORRIERE.IT

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