Parabola di un ex leader rimasto senza elettori

E poi dicono che non ha il quid. «Non sarò più ministro. Non farò il parlamentare. Non mi ricandiderò».

Frasi secche, concetti netti, promesse chiare. Certo, qualcuno penserà male: a Silvio Berlusconi che non lo rivuole indietro, a Matteo Renzi che gli ha chiuso la porta in faccia, al partito che gli si sta sciogliendo in mano, al tre per cento di sbarramento irraggiungibile, al massacro elettorale da evitare, alla faccia da salvare. Ma insomma, intanto Angelino Alfano il passo indietro l’ha fatto.

O forse no? «Farò campagna elettorale – annuncia a Porta a Porta il ministro degli Esteri – dimostrerò che si può fare politica anche fuori del Palazzo». E molti già ironizzano: Angelino come Dibba, pronto a rientrare al prossimo giro. Poi però, quando lui spiega di «non essere legato alla poltrona» e di volersi «riprendere un pezzo della mia vita», i social impazziscono perché Alfano una «vita fuori dal Palazzo» non ce l’ha mai avuta.

Onorevole dalla nascita, politico da sempre. Enfant prodige di Forza Italia, consigliere regionale in Sicilia nel 1996, a soli ventisei anni, deputato dal 2001. Da allora una carriera sempre in ascesa. Guardasigilli per tre anni, dal 2008 al 2011, nell’ultimo esecutivo guidato di Silvio Berlusconi, fino alla giravolta che, agli occhi del Cavaliere e del popolo di centrodestra, lo ha trasformato dall’erede, il leader del futuro, nel traditore «senza quid». Persa la stima del Cav, persa l’investitura ma non la poltronissima di governo. Dopo la parentesi di Mario Monti e dei suoi super tecnici, rieccolo infatti nella sua qualità di ministro perenne, al Viminale con Enrico Letta e Matteo Renzi e alla Farnesina con Paolo Gentiloni.

Non che nei suoi dicasteri abbia mai dato grandi prove. Della sua gestione degli Interni si ricorda soprattutto la contestata espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, che provocò una richiesta di sfiducia individuale. E sui flussi di immigrazione è dovuto arrivare Marco Minniti per invertire la rotta sulle modalità di accoglienza ed ottenere qualche risultato. Quanto alla sua presenza agli Esteri, la medaglia di Angelino potrebbe essere la clamorosa bocciatura di Milano come sede dell’agenzia europea del farmaco Ema: secondo i critici il titolare della Farnesina non avrebbe curato abbastanza il dossier e i rapporti con i principali partner Ue.

Poi c’è il capitolo collaterale degli scandali, veri o presunti. Dall’affare dell’accoglienza dei migranti, spesso affidata a personaggi vicini a Ncd, al sottosegretario Giuseppe Castiglione, finito sotto inchiesta per la gestione del Cara di Mineo, alle polemiche sull’assunzione alle Poste del fratello Alessandro. Tanti casi mediatici che però non hanno influito sulla sua carriera.

Ad affondarlo semmai sono state le sue scelte politiche. In questi sei anni, dopo la rottura con Berlusconi, Alfano ha creato un partito, Ncd, il Nuovo centrodestra, poi dopo varie confluenze diventato Ap, da qualche mese a serio rischio di estinzione, anzi di implosione, indebolito dalla defezioni, dilaniato dalle spinte contrapposte dell’ala destra di Maurizio Lupi che spera di tornare con Berlusconi e dell’ala sinistra di Beatrice Lorenzin che punta invece ad accasarsi nel Pd. La botta finale gliel’ha data probabilmente la pesante sconfitta subita in casa, alle elezioni regionali siciliani, dove il suo partito non ha nemmeno superato la quota di sbarramento. Se era la prova generale dell’intesa elettorale tra Pd e Ap, forse allora Renzi ne ha preso atto e gli ha negato i posti in lista. E così ad Alfano, tanto per usare il politichese, non è rimasto che «trarre le conseguenze». Per ora.

IL GIORNALE

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