La Groenlandia si scioglie, ma non tutta l’acqua finisce in mare

La Groenlandia si scioglie, ma non tutta l'acqua finisce in mare

di MARCO TEDESCO *

NEW YORK – La Groenlandia è uno dei luoghi centrali dove studiare l’impatto del cambiamento climatico sulle nostre vite. Perché, per esempio, lo sciolgimento dei suoi ghiacci può avere forti ripercussioni sul breve e lungo termine. A breve termine, l’aumento dello scioglimento registrato di recente ha conseguenze sulla flora e sulla fauna locali, sulle rotte commerciali marittime e sulla produzione di energia idroelettrica; a lungo termine, l’impatto è globale, tramite l’alterazione delle correnti oceaniche, l’amplificazione del riscaldamento dell’Artico rispetto al resto del Pianeta e, ovviamente, l’innalzamento del livello dei mari.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto quello sul quale ci siamo concentrati con il nostro studio pubblicato su Proceedings of the National Academies of Science (Pnas), la rivista scientifica pubblicata dall’Accademia delle Scienze statunitense. L’idea è semplice ma, come spesso accade nella ricerca, non banale: quando neve e ghiaccio si sciolgono, l’acqua fluisce in superficie attraverso fiumi e ruscelli scavati nel ghiaccio fino a quando incontra una “via di fuga” verso l’oceano, attraverso canali verticali chiamati in gergo moulins per poi sfociare nei mari circostanti tramite cascate spettacolari o, come di recente scoperto, attraverso canali sottomarini.

Questo era quello che immaginavamo finora e che lasciava supporre un importante contributo all’innalzamento dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. Finché non ci si è accorti che qualcosa non tornava nei dati raccolti.

Viste le difficoltà logistiche e l’estensione della Groenlandia (grande quanto due volte lo stato del Texas), noi scienziati utilizziamo satelliti e modelli per quantificare lo sciolgimento e, perciò, il contributo della Groenlandia all’innalzamento del livello dei mari. Le rare, ma preziose, campagne di misura a terra ci permettono di studiare la fisica dei processi in dettaglio. Questo è fondamentale per validare e migliorare i nostri modelli. I risultati che abbiamo ottenuto e pubblicato ieri dipingono una storia sconosciuta e intrigante di ciò che accade all’acqua dopo che ghiaccio e neve sciolgono.

La scoperta è scaturita da un’incongruenza tra i dati da satellite e i risultati dei modelli. All’inizio pensavamo che le differenze fossero dovute ad errori nel modello ma, dopo una più accurata analisi, abbiamo scoperto che in realtà il modello era corretto ma mancava l’inclusione di un processo fisico che non pensavamo fosse così importante: il ghiaccio agisce come una sorta di “spugna” nella quale una parte dell’acqua viene intrappolata. Invece di comportarsi come una lastra rigida (così come assunto nei modelli), il ghiaccio può “marcire”, creando pori ed interstizi che vengono riempiti di acqua. L’inclusione di tale fenomeno riduce le discrepanze tra dati satellitari e risultati del modello e può alterare le stime delle proiezioni del contributo della Groenlandia all’innalzamento dei mari (che avvengono tramite modelli), migliorandole.

Attualmente, tali stime si aggirano ad una perdita di circa 270 miliardi di tonnellate all’anno, misurate tramite il satellite Gravity Recovery and Climate Experiment (Grace). Questa cifra corrisponde effettivamente alla quantità di ghiaccio persa dalla Groenlandia e finita in mare. Quello che però abbiamo scoperto è che parte dell’acqua derivante dallo scioglimento resta sull’isola.

Grace fu lanciato nel 2002 tramite una collaborazione tra Nasa e Agenzia spaziale tedesca, con lo scopo di misurare minuscole variazioni del campo gravitazionale terrestre. Tramite questo strumento è stato possibile, perciò, pesare quanta massa la Groenlandia perdeva ogni anno e conseguentemente, calcolare il suo contributo all’innalzamento dei mari.

Purtroppo, è di poche settimane fa la notizia della fine del periodo di “grazia”, con lo spegnimento del satellite dovuto all’esaurimento del carburante utilizzato per posizionare il satellite e permettere le misure ad altissima precisione necessarie. Il successore di Grace doveva essere già lanciato nel 2017 ma imprevisti hanno forzato il posticipo del lancio fino al 2018. Nel frattempo gli ingegneri hanno spento i motori di Grace e la comunità scientifica resta ora in attesa, con il fiato sposeso, di un erede di Grace, che avrà il difficile compito di misurare l’insostenibile leggerezza del nostro Pianeta e aiutarci a migliorare i nostri modelli per simulare un futuro inquietante ma che non può e non deve essere ignorato.

* L’autore è ricercatore al Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University

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