La Germania scopre l’instabilità della politica

Michele Valensise

Alle prime luci dell’alba di venerdì, dopo un’estenuante notte di trattative, Angela Merkel aveva sollevato lo sguardo sul tavolo pieno di carte e di tazze di caffè sporche e aveva detto ai capi degli altri tre partiti (Csu, Fdp e Verdi) della potenziale coalizione Giamaica: «Per me, possiamo continuare anche ora». È stata di parola, ma nonostante altri sforzi e vari ultimatum, rinviati uno dopo l’altro sul filo delle ore, non si è riusciti a raggiungere un’intesa nella tarda serata di ieri.

 Dopo due mesi dalle elezioni del Bundestag, la formazione del governo a Berlino è tutta da verificare. I negoziati tra i possibili soci dell’inedita alleanza entrano ora in una fase di maggiore dettaglio, dopo un confronto sviluppatosi molto a rilento, tra incertezze, tatticismi e punture polemiche a uso mediatico. Un rituale sconsolante, tanto più che le discussioni sembravano schivare i grandi temi per concentrarsi su questioni minori. Quanto tempo sarà ancora necessario per avere un governo nella pienezza dei suoi poteri? Mentre si fa sentire la disillusione tra chi, dopo aver votato, si aspetta che la politica dia un governo al Paese senza ulteriori tergiversazioni, il tavolo negoziale traballa perché poggia su quattro gambe deboli.

È debole innanzitutto la Csu, ammaccata nelle elezioni federali di settembre, con il suo presidente Seehofer contestato dall’interno e già in affanno per le elezioni del Land del prossimo autunno. Lo è anche l’Fdp, che ora deve adattare le sue scelte alle tante promesse fatte in campagna elettorale, non sempre realistiche. Lo stesso vale sul versante opposto per i verdi, stretti in un difficile equilibrio tra le due anime storiche della loro base e dei dirigenti, pragmatici e fondamentalisti. È debole infine la Cdu, con Angela Merkel ridimensionata dal voto del 24 settembre e percepita oggi non più come leader «presidenziale» al di sopra delle parti, bensì polarizzante dopo le gli scontri e i pesanti attacchi personali dell’estrema destra.

Se l’unione di quattro debolezze non fa la forza, la Cancelliera avverte un senso di solitudine nel suo stesso partito, dove in prospettiva non si intravedono suoi successori, e fa buon viso a cattivo gioco. In qualche momento, tra sé e sé, forse ha sospirato sui meriti del ballottaggio alla francese, che in Germania la renderebbe padrona assoluta della situazione. Sono stati a lungo sul tavolo, tra gli altri, i nodi sugli accessi dei migranti (la Csu vuole limitare i ricongiungimenti familiari, i Verdi no), su tempi e modi dell’abbandono del carbone e del diesel e sul contributo di solidarietà alle regioni dell’Est, del quale i liberali reclamano l’eliminazione.

 

Su questo sfondo il toto-ministri tedesco è del tutto aperto. Molto ruota intorno alla poltrona di ministro delle Finanze, lasciata libera da Schäuble. Otto anni fa, con Guido Westerwelle, i liberali fecero l’errore di optare per il ministero degli Esteri, con scarso margine d’azione perché schiacciato dalla Cancelleria federale, e di consegnare le Finanze alla Cdu. Oggi il giovane leader dell’Fdp, Christian Lindner, potrebbe compiere l’errore opposto, di puntare tutto sulle Finanze, in una fase in cui persino per la Germania potrebbe essere raccomandabile attenuare il rigore eccessivo di certe ricette propugnate dai liberali per l’euro-zona.

 

Sono buone notizie solo per chi si rallegra dei guai altrui. Per quanti invece considerano che una Germania stabile possa essere d’aiuto all’Europa, dentro e fuori dei suoi confini, c’è da augurarsi che le maratone notturne di Berlino abbiano presto buon esito definitivo e che, pur con i compromessi necessari, i tedeschi non perdano la fiducia nel loro sistema. Un corto circuito ora sarebbe un grande regalo per chi è già in agguato contro il sistema: l’estrema destra neo-populista dell’Allianz für Deutschland (Afd), forte di novantadue deputati (su 709) nel nuovo Bundestag.

LA STAMPA

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