I migranti, i campi in Libia e le lezioni (tardive) che l’Onu vuole darci

Sono agghiaccianti le foto e i video che arrivano dalla Libia. Mostrano uomini, donne e bambini ammassati nei centri di detenzione e costretti a vivere in condizioni atroci. Svelano i dettagli della vendita di essere umani, come documentato dalla Cnn con il reportage sull’asta degli schiavi. Ha ragione l’alto commissario dell’Onu per i diritti quando parla di «mancanza di umanità» e racconta lo choc dei suoi colleghi che hanno effettuato le ispezioni. E fa bene il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani quando annuncia l’invio di una delegazione in modo da verificare sul campo che cosa sta accadendo. Di fronte a simili barbarie nessuno può far finta di niente, si deve agire e bisogna farlo in fretta, senza perdere altro tempo. Perché è vero che la Libia è un Paese nel caos, ma quando al potere c’era il colonnello Gheddafi le condizioni di migranti e rifugiati non erano migliori. Anzi. E il regime di Tripoli impediva alle organizzazioni internazionali di entrare nel Paese, dunque non era possibile alcun tipo di controllo. Sulla base di quelle immagini e della missione in Libia l’Onu ha attaccato in maniera frontale l’Unione Europea e l’Italia per aver siglato un patto con il governo guidato da Al Serraj.

L’accordo ha certamente dei punti deboli, soprattutto perché concede ampi poteri alla Guardia Costiera locale. Ma è pur vero che la scelta del governo guidato dal presidente Paolo Gentiloni è stata fatta per far fronte all’arrivo di decine di migliaia di migranti. Una decisione per reagire all’immobilismo non solo dell’Europa, ma anche degli organismi internazionali. Ecco perché alla denuncia dovrebbe seguire adesso un’azione unitaria forte e concreta. Per la prima volta — anche grazie alla mediazione della Ue e dell’Italia — l’Onu con l’Unhcr e l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono state ammesse nelle strutture di detenzione. Ed esiste la possibilità di creare proprio nell’area di Tripoli un grande centro di accoglienza dove i profughi possano essere ospitati e identificati in modo da favorire poi l’accoglienza come richiedenti asilo negli Stati europei. È questa la strada da percorrere per salvare le persone e garantire loro condizioni di vita accettabili. Ma per ottenere il risultato bisogna procedere insieme. Ergersi sul pulpito e dare lezioni non serve a risolvere i problemi, soprattutto se sono così complessi come quelli che si devono affrontare quando si deve gestire un esodo migratorio dagli Stati africani. Bisogna farlo superando gli egoismi e mettendo invece a disposizione degli altri competenze e capacità.

CORRIERE.IT

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