Se i bimbi geniali hanno diritto alla vita normale

massimiliano panarari
 

Il diritto alla normalità. Nel catalogo dei diritti e delle prerogative dell’infanzia dovrebbe essere scritto a caratteri cubitali, e assicurato a ogni bambina e bambino. Anche se si tratta di un enfant prodige, e di una ragazzina o un ragazzino particolarmente dotati. Come in una pellicola da poco nelle sale, «The Gifted – Il dono del talento», diretto da Marc Webb.

 Il film racconta la storia di una geniale bimba di 7 anni, figlia di una studiosa di matematica suicida e al centro di una contesa legale tra lo zio e la nonna per ottenerne la custodia legale. La posta in palio riguarda la tipologia di istituto in cui farla studiare per coltivarne il talento precocissimo, ma, in verità, finisce per coincidere con la stessa possibilità o meno per la piccola Mary di godere di un’infanzia simile a quella dei suoi coetanei.

In una società quale la nostra, strutturalmente fondata sulla dimensione competitiva, il poter contare su una condizione di partenza straordinaria (la genialità) dei figli può naturalmente rendere felici i genitori. Per i quali, però – almeno quelli più sensibili – subentra il dilemma intorno alle scelte da fare affinché le modalità di assecondare i doni naturali arrivati in dote ai figli non precludano loro la serenità, e quello che è, legittimamente, «Il desiderio di essere come tutti» (per citare un fortunato romanzo, di altro argomento, di Francesco Piccolo).

Tanto più che l’art. 12 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce al minore il diritto di venire ascoltato in riferimento a tutti i processi decisionali che lo riguardano, e il corrispondente dovere dei genitori di tenere in considerazione l’opinione del bambino. Un’infanzia dotata può, infatti, convertirsi in una gabbia (tutt’altro che dorata), e generare magari tanta rabbia per gli anni a venire.

 

La normalità non esiste, sosteneva il filosofo Michel Foucault, che ha dedicato la sua vita di studioso alla «volontà di sapere» e decostruire il tasso di costruttivismo e artificialità presente all’interno di ogni aspetto delle società (e istituzioni) umane. Ma proprio il caso dei bambini dotati vale come cartina di tornasole dell’esistenza, invece, di un’aspirazione estremamente diffusa (nel loro caso di sicuro, così come in quello di tanti altri meno fortunati intellettualmente di loro) alla normalità quale condizione di una vita da trascorrere insieme ai loro coetanei, su un piano di parità, e condividendo la totalità delle esperienze – a partire da quelle, appunto, più «banali» – che risultano indispensabili sul cammino della crescita e dell’edificazione della personalità.

 

In Italia, per fare un esempio, tante esperienze pedagogiche – da Gianni Rodari a Loris Malaguzzi, fino al «Reggio Emilia approach» – si basano, tra gli altri principi, sul presupposto della valorizzazione della creatività dei bambini in una dimensione di interazione tra le loro diversità e particolarità. E, in un mondo di muri (e di bulli), proprio di contaminazioni e ibridazioni abbiamo tutti quanti assolutamente bisogno. Vale anche per i piccoli dotati di talenti fuori dall’ordinario, per coltivare i quali esistono percorsi pedagogici differenti da quelle goffmaniane istituzioni totali che rischiano di essere le varie scuole dedicate esclusivamente a loro.

LA STAMPA

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