La macchia nera sull’Italia: in cenere l’area di 5 metropoli

nicola pinna
Torino

L’impronta nera lasciata dai piromani sull’Italia dal 15 giugno è un’area estesa ben 61.579 ettari. Ma il dato non basta, non è sufficiente a spiegare la dimensione del danno. E allora, per capire meglio quanto sia grave questa devastazione, può essere più utile fare un confronto. Dopo giorni e giorni di emergenza è come se i grandi roghi avessero cancellato dalla carta geografica cinque grandi città: Milano, Torino, Bologna, Firenze e Napoli. Uno spazio gigantesco, incenerito in poco più di un mese, da quando la Protezione civile nazionale ha fatto scattare la «campagna antincendi». Impressionante anche il confronto con lo scorso anno: nel 2016 gli incendi avevano attraversato una superficie di 27 mila ettari, mentre quest’anno, in meno di 40 giorni, la zona incenerita è già triplicata. Perché nel 2017 i piromani hanno scatenato una battaglia così spietata contro il nostro patrimonio ambientale? «Oltre alla recrudescenza del fenomeno criminale – sottolinea il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti – a rendere più complessa la situazione ci sono la siccità, le temperature superiori alla media e anche la ventilazione favorevole».

 

La mappa del fuoco

Su e giù per l’Italia solo sei regioni sembrano immuni all’assalto (organizzato e spietato) dei piromani: Emilia Romagna, Friuli, Piemonte, Trentino, Valle d’Aosta e Veneto. Nelle altre la distesa di cenere sembra sterminata. Il record, stando alle richieste d’intervento fatte arrivare alla centrale operativa della Protezione civile nazionale, lo raggiunge la Sicilia. Che, suo malgrado, ottiene anche un altro primato: da Palermo a Messina, da Trapani a Enna, in soli 30 giorni, gli interventi di elicotteri e canadair per domare i roghi sono stati esattamente il doppio dello stesso periodo del 2016. L’altra regione infuocata, in questa prima parte d’estate, è la Campania, seguita dalla Calabria e dal Lazio. «Questa è una delle emergenze più gravi per l’Italia – dice il ministro dell’Ambiente -. Il nostro patrimonio è sotto attacco, la coesione istituzionale può essere un’arma per difenderlo». Eppure, anche quest’anno l’apparato di lotta ha mostrato più di un’inefficienza. Le Regioni, a cui è stata demandata la competenza principale sull’antincendio, non hanno neppure le risorse per allestire una flotta aerea e si affidano alla Protezione civile nazionale o alle forze armate. E in Sicilia, proprio nelle giornate più drammatiche, quelle tra l’11 e il 17 luglio , sono stati dirottati gli elicotteri di dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica.

La guerra al fuoco

Nella grande trincea degli incendi è schierato un esercito di 3400 uomini, divisi in 450 squadre pronte a intervenire a ogni ora del giorno e della notte. Dal cielo, la guerra si combatte con i 19 canadair e i 15 elicotteri della Protezione civile, a cui si devono aggiungere quelli utilizzati dalle regioni. Solo in Sardegna, gli elicotteri impiegati dall’Assessorato all’Ambiente sono altri 15. Da quando il Corpo forestale è stato assorbito dai carabinieri, a fronteggiare le fiamme sono rimasti i vigili del fuoco (con i volontari e gli operai regionali) e anche il loro lavoro in quest’ultimo mese ha subito un’impennata: 25 mila interventi, contro i 73 mila effettuati in tutto il 2016.

Risorse e indagini

La riforma del Corpo forestale ha creato qualche intoppo, ma a sbilanciare il braccio di ferro tra piromani e forze antincendio è anche il problema dei fondi a disposizione: «Soprattutto quelli per la prevenzione – denuncia il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio -: il finanziamento per la prevenzione nel corso degli anni si è assottigliato fino a essere nullo». Poi c’è la questione delle pene per gli incendiari: quelli denunciati sono già 366 e 18 sono stati gli arrestati. Ma pochissimi restano in carcere. «La nuova legge prevede condanne che superano i 20 anni – aggiunge il ministro Galletti -. Ma serve una fortissima azione repressiva».

LA STAMPA

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