Un europeo su due vuol fermare l’invasione dai Paesi musulmani

L’Unione europea vista come un condominio. Da una parte del litigioso consesso gli inquilini – dalla casalinga di Voghera a Monsieur Dupont passando per Herr Müller -, dall’altro gli amministratori, intesi non solo come i rispettivi Gentiloni, Macron e Merkel bensì in senso ampio come le élite sociali e culturali di ogni paese.

Fra dicembre 2016 e febbraio 2017, il think-tank britannico «Chatham House» ha intervistato circa 10mila «inquilini» e 1.800 «amministratori» in dieci paesi europei misurando la distanza fra i due gruppi. Il quadro che ne esce è quello di un continente strabico e fratturato. Le spaccature fra i diversi piani del palazzo riguardano solidarietà europea, democrazia, identità e integrazione. Così le esperienze dei comuni mortali e delle cosiddette élite (politici, imprenditori, società civile e bontà degli analisti pure i giornalisti) sono molto diverse, con i primi più pessimisti delle seconde. Un esempio: fra le élite il 71 per cento ritiene di aver tratto vantaggio dall’esistenza dell’Unione continentale, per gli altri la percentuale scende al 34, e anzi, il 54 per cento del gruppo più ampio ritiene che nel proprio paese si stesse meglio 20 anni fa.

Ancora: il 77 per cento degli amministratori crede nella solidarietà con gli Stati più deboli, contro soltanto la metà esatta degli inquilini. Le domande sull’immigrazione si spiegano da sole: il 57 per cento delle élite la ritiene un fenomeno positivo, contro il 25 per cento del gruppo più ampio, quello degli abitanti «comuni». Risultati analoghi (58 a 32) sul contributo degli immigrati alla vita culturale nazionale. Il 56 per cento del pubblico vuole fermare l’immigrazione dai paesi islamici e il 55 ritiene l’Islam inconciliabile con lo stile di vita europeo; opinioni condivise rispettivamente dal 32 e dal 35 per cento delle élite. La forbice si chiude però sul velo integrale, con entrambi i gruppi uniti (rispettivamente il 73 e il 61 per cento) nel chiederne la messa al bando nei luoghi pubblici. Riguardo al futuro dell’Unione europea, i cittadini comuni si rivelano più pessimisti dei loro leader: il 55 per cento degli intervistati è convinto che presto un altro stato seguirà i britannici sul sentiero della Brexit, contro il 40 per cento delle élite, che si esprime nettamente di parere opposto.

Ma non mancano neppure le crepe interne ai gruppi. Il pubblico degli «inquilini» risulta spaccato fra ispirazioni liberali e tendenze autoritarie, «un fenomeno non marginale ma al contrario piuttosto diffuso», si legge nel rapporto. Forti sono anche le pulsioni anti-Ue, soprattutto nei paesi centro-orientali: solo il 18 per cento dei polacchi, per esempio, ritiene giusto che i rifugiati siano distribuiti proporzionalmente fra stati membri, contro il 62 per cento dei tedeschi e il 66 degli italiani. Eppure il 64 per cento dei polacchi vuole più solidarietà finanziaria fra paesi Ue contro il 38 per cento auspicato dai tedeschi. Se i cittadini comuni hanno opinioni divergenti su tutto, le cosiddette élite non se la passano meglio: il 28 per cento è favorevole al mantenimento dello status quo in Europa, il 37 chiede più poteri per Bruxelles e il 31 per cento vuole invece il ritorno di molte competenze nelle mani degli stati membri. Il futuro dell’Ue, secondo «Chatham House», passa dunque da un presupposto: «Abbandonare l’approccio binario più o meno Europa, che non porta da nessuna parte, e aprire a un dibattito meno conflittuale».

IL GIORNALE

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