Anche la Pa diventa “agile”: gli uffici pubblici sperimentano il lavoro smart

Anche la Pubblica amministrazione prova a diventare “agile” e si pone l’obiettivo di organizzare gli uffici in modo che, entro tre anni, dieci dipendenti su cento possano prestare il loro servizio attraverso forme di lavoro “smart”. La terza direttiva di Palazzo Chigi definisce finalmente quanto si disponeva all’articolo 14 della legge dell’agosto 2015 sulla riorganizzazione della Pa, che promuoveva appunto la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche.

Le linee guida sono arrivate e sono state presentate qualche giorno fa dalla ministra Marianna Madia, insieme alla sottosegretaria Maria Elena Boschi.

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro sintetizza le finalità delle nuove misure organizzative che devono esser adottate dalle Pa:
– fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro;
– sperimentare, anche al fine di tutelare le cure parentali, nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, il cosiddetto lavoro agile o smart working.

Si tratta di disposizioni che si pongono due obiettivi: migliorare le condizioni e le modalità nel lavoro pubblico ed al tempo stesso cercare di migliorare i servizi per i cittadini e l’efficienza del sistema pubblico, rafforzando anche l’utilizzo di strumenti digitali. Da una parte, infatti, la flessibilità lavorativa dovrebbe assecondare i bisogni del personale dipendente, anche alla luce delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

D’altra parte, si dovrebbe incrementare la produttività degli uffici pubblici. Non a caso, come hanno spiegato Boschi e Madia in una recente conferenza stampa, la seconda gamba di questa direttiva è proprio il monitoraggio della sperimentazione, volto a individuare gli effetti incrementali sulla produttività. Nel giro di un mese, dice il testo del governo, dovrà costituirsi presso Palazzo Chigi un gruppo di monitoraggio biennale che supporti le amministrazioni e verifichi l’attuazione della direttiva stessa.

Anche la Pa diventa “agile”: ecco la direttiva per favorire il telelavoro negli uffici pubblici

Gli stanziamenti previsti per partire con le sperimentazioni, per le quali le amministrazioni devono già aver fatto domanda nei giorni scorsi, sono di 5,5 milioni. Al Ministero del Tesoro, da luglio, partirà la sperimentazione che riguarderà 200 dipendenti e consentirà di svolgere l’attività lavorativa fuori dalla sede per 6 giornate al mese.

La lunga attesa della direttiva del governo non ha fermato alcune amministrazioni pubbliche, che si sono mosse già negli anni scorsi e hanno avviato sperimentazioni sul tema del lavoro agile. Esempi di buone pratiche che riescono ad anticipare l’evoluzione normativa e anzi pongono il dubbio se non si potesse accelerare il processo.

Uno dei casi più importanti è quello dell’Inps, che come sottolinea Romano Benini della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro è l’istituto che “detta regole del gioco”. La macchina della previdenza italiana ha siglato un accordo sindacale già nel 2015 (ma con il quale ha rinnovato una prima forma di telelavoro risalente al 2007), interessante per la doppia concezione del telelavoro: da una parte, un accordo con il dipendente in situazione di necessità (magari per assistere un familiare bisognoso) con il permesso per sei mesi a lavorare da un ambiente domestico. D’altra parte, quello “satellitare” in forma sperimentale, inteso come organizzazione vera e propria degli organici, per portare i dipendenti più vicini ai luoghi dove è necessaria la presenza dell’Istituto. Un altro caso-scuola è quello della Provincia di Trento, che dal 2011 ha istituito per 250 dipendenti la possibilità di lavorare in versione “smart” e che è valsa all’amministrazione anche un riconoscimento da parte dei ricercatori del Politecnico di Milano.

REP.IT

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