Anche il Sole finirà in una scatola

lorenzo cresci
 

E adesso, presidente? «Adesso disegniamo il futuro». Davide Malacalza, presidente di Asg Superconductors, passa la mano sui cavi superconduttori di ultima generazione, quelli potenzialmente destinati a rivoluzionare il mondo dell’eolico, dell’aviazione a motore elettrico, della navigazione. Fili sottilissimi, frutto della combinazione tra boro e magnesio, due elementi presenti in natura e che, combinati, e a una certa temperatura diventano quei superconduttivi destinati a mandare nell’album dei ricordi il rame.

 «Fattore 1000», semplifica il fisico Gianni Grasso, ricercatore impegnato nella superconduttività e che nel 2003 ha scommesso su questa combinazione chimica, trovando l’appoggio di un imprenditore. Il futuro è a San Desiderio, collina genovese, dove ha sede la «Columbus», azienda-prototipo voluta dallo stesso Malacalza per studiare il futuro dei materiali per applicazioni industriali nella superconduttività.

Cento chilometri e siamo alla Spezia, in una delle sedi di Asg Superconductors, realizzata per portare a termine un altro sogno, quello delle bobine che saranno il cuore del progetto internazionale «Iter», il programma che promette, entro otto anni, di avviare la prima iniezione di plasma che consentirà di dimostrare che è possibile «portare» il Sole sulla Terra, sfruttando energia dalla fusione nucleare. «Ecco perché qualcuno ha definito la Liguria una piccola Silicon Valley della superconduttività», dice Malacalza. Che racconta dell’emozione dei dipendenti, quando la bobina «è stata mossa per la prima volta».

 

«Ora posso dirlo, il responsabile della fabbrica mi ha detto di aver avuto la pelle d’oca», racconta. Roba da sognatori: e pensare che qui, fino a qualche anno fa, si producevano lavatrici con il marchio «San Giorgio». Sconfitta dalla tecnologia giapponese, l’azienda si arrese. Arrivò Malacalza, da Genova. E modificò gli impianti: dalle lavatrici alle bobine per «inscatolare» il Sole e produrre energia pulita. Un sogno che accompagna scienziati e ingegneri dagli Anni 50 e che ora potrebbe diventare realtà. Con una indiretta rivalsa, confermata, da Barcellona, dal responsabile del progetto sui magneti per «Fusion for Energy», l’agenzia europea che segue «Iter»: «Asg deve costruire 10 bobine, dal Giappone ne attendiamo otto. Ma il livello di specializzazione degli italiani è tale che viaggiano con un anticipo di un anno», dice il fisico Alessandro Bonito-Oliva. Non a caso Asg, azienda nata dalla privatizzazione dell’unità magneti di Ansaldo, ha partecipato ai principali progetti di ricerca nel mondo, dal Cern al Fermilab, spesso battendo la concorrenza.

 

Il 19 maggio, nello stabilimento spezzino, si farà festa. La bobina di cavi superconduttori da 120 tonnellate di peso – 100 mila i km di filo utilizzati per realizzare tutte le bobine – varcherà i cancelli, con destinazione Porto Marghera, dove, un’azienda cuneese, la Simic, terminerà il ciclo produttivo nel proprio stabilimento veneto. E poi? Nel centro di ricerca di Cadarache, nel Sud della Francia, si darà prova concreta di decenni di studi e investimenti: riprodurre sulla Terra il meccanismo fisico che alimenta le stelle per ottenere energia pulita, rinnovabile e inesauribile.

 

Il ruolo delle bobine è fondamentale: ognuna dovrà produrre un campo magnetico «a forma di anello» (in gergo, «toroidale») che imprigioni il plasma incandescente, a 150 milioni di gradi. Lo scudo magnetico compatterà il gas incandescente, tenendolo lontano dalle pareti del serbatoio di «Iter». Per rendere le bobine superconduttive, invece, è necessario portarle a temperature molto basse, quattro gradi sopra lo zero assoluto (-273 gradi centigradi). In pochi metri, così, si ottiene uno sbalzo termico senza precedenti sul pianeta Terra e raro nel sistema solare. «Iter» sarà il tokamak – la macchina che contiene il plasma – più grande della storia: le 18 bobine toroidali, da sole, producono un campo magnetico di energia pari a 41 GigaJoule, ovvero l’energia liberata dall’esplosione di 10 tonnellate di Tnt.

 

Torniamo a San Desiderio. Dove già nel 2003 si immagina un futuro legato alla combinazione di boro e magnesio. «Forse si sono sottostimati i tempi di sviluppo – dice Grasso – ma, capiti gli sbocchi industriali, possiamo dire di aver visto giusto, perché altre tecnologie sono in ritardo». Le applicazioni dei fili superconduttivi si sono ampliate rispetto al primo sbocco naturale, quello medico, con l’impiego nei macchinari per realizzare la risonanza magnetica. «Da allora il mercato ci ha qualificati e ora siamo pronti per il resto», osserva Malacalza. I generatori eolici sono un primo esempio di applicazione: volumi e peso possono essere ridotti anche di un quarto, con notevoli risparmi. E poi c’è il futuro nell’aeronautica. Il sogno è alimentare gli aerei con motori elettrici come sta facendo Eads. Il perché è semplice: immaginate un’alimentazione con fili di rame.

 

La conduttività è di 1 ampère per millimetro quadrato di sezione: con i superconduttori della «Columbus» si arriva a 1000 ampère per ogni millimetro: è il famoso fattore 1000.

 

Dimensioni ridotte, resa maggiore. Quel che potrebbe essere sostenibile e interessante per lanciare definitivamente il motore elettrico nelle navi, con armatori sempre più coinvolti nel progetto. E, infine, si ritorna nello stabilimento di Genova Campi, dove con il nuovo filo è stata realizzata l’applicazione che potrebbe essere più immediata: il sistema anti-blackout «Sfcl» («Superconducting Fault Current Limiter»), rivolto alle «utilities», di cui è già stato realizzato un prototipo testato nei laboratori di Berlino, assieme ad Asg. Il superconduttore, «trasparente» alla rete elettrica in condizioni normali, si comporta come un potente freno al verificarsi di un cortocircuito, eliminando i danni potenziali.

 

La sfida, quindi, è lanciata. Dalla Silicon Valley ligure si guarda al mondo, al progetto «Iter» e ai cavi per il Cern di Ginevra, impegnato nelle ricerche sull’infinitamente piccolo. Un futuro legato a un filo, superconduttore.

LA STAMPA

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