La riscossa dei musei italiani salvati dai direttori stranieri

marco menduni
 

Sposta e ricolloca la Venere del Botticelli, come in uno spettacolare domino artistico. Ridai visibilità e luminosità, in una nuova sala, a un’opera che attira da sola centinaia di migliaia di visitatori agli Uffizi di Firenze e anche le code diminuiscono, quelle file interminabili che sono state sempre la croce e il tormento dei turisti. Ci ha studiato insieme al dipartimento di Informatica dell’Aquila, per un modello sociologico sui flussi e le abitudini dei visitatori, il direttore tedesco Eike Schmidt. Ma l’intuizione vincente è stata agire sulle stanze del Botticelli: «Prima si formava lì un imbuto, con la gente costretta a fare a gomitate per vedere le opere e nel frattempo, alle loro spalle, tutto rimaneva bloccato».

 Ora i visitatori scorrono di più, le file si sono assottigliate, Così si replica e, entro novembre, toccherà anche alle opere di Leonardo. Certo, queste manovre fanno mettere le mani nei capelli agli iper tradizionalisti, ma i conti tornano, le presenze aumentano. L’obiettivo due milioni è stato superato nel 2016, le proiezioni per il 2017 sono superiori, tra il 10 e il 15 per cento. A Schmidt si chiedeva questo. A Schmidt e agli altri sei direttori stranieri dei principali musei italiani. Sette su venti, dopo la selezione internazionale prevista dalla riforma di Dario Franceschini. Un risultato allora accompagnato dalle polemiche. Vittorio Sgarbi: «Solo un’operazione di immagine». Philippe Daverio: «Leggerezza pressapochista del governo». Il ministro ha difeso le scelte: «Sono molto soddisfatto, hanno lavorato bene indipendentemente dal fatto di essere francesi, tedeschi o italiani, hanno trovato situazioni non facili».

 

Spiega ancora Eike Schmidt: «Fino agli Anni Settanta l’organizzazione degli Uffizi e dei musei italiani in genere era un esempio a livello internazionale, poi…». Poi sono calati gli investimenti per la cultura, poi è arrivata la crisi. Il sistema è rimasto immobilizzato, bloccato nell’autoreferenzialità. La nomenklatura dei funzionari ha bloccato le iniziative. La scossa portata da chi ha lavorato all’estero e proviene da esperienze diversificate è salutare. Il limite? L’impossibilità di procedere direttamente a nuove assunzioni, con un personale non giovanissimo, in difficoltà con queste accelerazioni. Certo, il successo si inserisce in un contesto favorevole per i luoghi della cultura italiani: nel 2016 45,5 milioni di ingressi con un introito di 175 milioni di euro: rispetto all’anno precedente, più 4 per cento dei visitatori e più 13 di incassi. Il volano sembra innescato non solo nelle più tradizionali città d’arte.

 

La direzione di Peter Assman a Mantova ha portato il palazzo Ducale a scalare 10 posizioni nella classifica dei musei più visitati nel 2016 con un clamoroso più 51 per cento. A Urbino Peter Aufreiter dichiara un 40 % in più di introiti al Ducale. L’offerta di nuovi eventi ha sconfitto anche l’effetto terremoto che da settembre ha fatto calare i visitatori. Brera affidata a James Bradburne si difende con un incremento del 5,42 rispetto a un buon 2015 trainato da Expo. A Capodimonte, con Sylvain Bellenger, Picasso sta facendo sfracelli (+120% a Pasqua). Per attirare i visitatori, il parco ospita anche scampagnate e percorsi naturalistici. Paestum ha incassato nel 2016 il 53% in più del 2015: nei primi 4 mesi del 2017 ancora il 25%. Non a tutti piace il direttore manager, non a tutti il museo azienda. Ma questi direttori, che a 4 anni dal loro insediamento saranno giudicati sui risultati, il piede sull’acceleratore l’hanno premuto davvero.

LA STAMPA

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