Fino a 60 ore d’attesa nei pronto soccorso

Paolo Russo

Che i nostri pronto soccorso fossero messi male lo si sapeva già, ma non fino al punto di lasciare quasi tre giorni i pazienti in astanteria, magari su una barella, per ottenere un ricovero. O farli attendere in media oltre 4 ore per un codice verde. Un imbuto infernale dovuto, più che agli accessi impropri di chi non sa dove sbattere la testa, ai tagli dei posti letto e un bel po’ di disorganizzazione. Miscela che genera anche un problema non di poco conto: quello dei ricoveri programmati che stanno diventando oramai un terno a lotto, con liste d’attesa infinite, poiché i pazienti che arrivano in reparto dai pronto soccorso assorbono oramai ben oltre la metà dei letti a disposizione, circa 71mila in meno di quelli che si contavano nel 2000.

A fornire una nuova e sconsolante visione dei pronto soccorso d’Italia è un’indagine dell’Anaao, il più rappresentativo sindacato dei medici ospedalieri. Prima di tutto i numeri smentiscono il ritornello del sovraffollamento creato dagli accessi impropri, che rappresentano appena il 24% e che assorbono a mala pena il 15% delle ore di lavoro totali. A trasformare molte volte i servizi di emergenza-urgenza in un girone infernale è invece prima di tutto l’assenza di letti nei reparti, dove una parte dei pazienti in pronto soccorso dovrebbero essere ricoverati. Così si finisce per restare parcheggiati nei grandi stanzoni dove l’incidentato si lamenta accanto al tossicodipendente e un malato oncologico soffre senza nemmeno il diritto a un po’ di privacy.

 

Il limite di permanenza, dicono gli standard ospedalieri, dovrebbe essere di due ore, termine non rispettato da tre ospedali su quattro, tant’è che lo scorso anno ben 25mila pazienti hanno stazionato in attesa del ricovero tra le 24 e le 60 ore.

E non è che per la semplice visita le cose filino via lisce. Nei periodi di sovraffollamento, in pratica i mesi invernali quando l’influenza imperversa, per un codice bianco si attendono mediamente più di 240 minuti, 300 per un verde e 120 per un giallo, che pure segnala un caso già grave.

 

Ovviamente le cose cambiano e di molto da ospedale a ospedale. Una classifica dei pronto soccorso più o meno efficienti l’ha stilata l’Agenas, l’Agenzia dei servizi sanitari regionali che con il «piano esiti» monitorizza le performance dei nostri nosocomi. Così si scopre che organizzandosi bene anche al Sud le cose possono funzionare. È il caso del Santobono di Napoli, che riesce a trattare ciascuno dei suoi oltre 100mila accessi l’anno, un record, in meno di mezza giornata. Sempre troppo? Ditelo a chi deve rivolgersi all’ospedale Annunziata di Cosenza, dove un paziente su quattro in pronto soccorso ci mette radici per un giorno intero. Anche in diversi grandi ospedali della capitale le cose non vanno molto meglio. Pertini, Sant’Andrea, San Filippo Neri, Sant’Eugenio e Policlinico Tor Vergata costringono tra il 12 e il 17% dei propri pazienti a stazionare 24 ore in pronto soccorso. Di poco più bassa la percentuale del San Giovanni Bosco di Torino.

 

Le cose, rivela lo studio dell’Anaao, vanno meglio dove c’è buona organizzazione. Come in quegli ospedali dove per decongestionare si è creato un ambulatorio di medici di famiglia per la gestione dei codici bianchi. Oppure dove è stata istituita la figura del «bed manager» che cerca di concentrare i letti salvati dalla scure dei tagli dove ce n’è più bisogno. Ma il problema resta. E non riguarda solo i pronto soccorso. «Oramai a causa della carenza di posti letto i ricoveri urgenti alimentati dai pronto soccorso sono il 56% del totale e per quelli programmati, come in oncologia o per la piccola chirurgia, le liste d’attesa si allungano: 68 giorni per un’ernia inguinale oltre 90 per una tonsillectomia», spiega il dottor Domenico Montemurro, responsabile di Anaao giovani, che ha condotto l’indagine.

 

Sulla cause di questo corto circuito non ha dubbi Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao. «Le immagini trasmesse dai media di attese infinite in barella, sovraffollamento e promiscuità sono la chiara dimostrazione di cosa abbiano prodotto i tagli lineari a posti letto e personale». Un atto d’accusa alle politiche sanitarie di oltre dieci anni. Anche se le centinaia di reparti ancora sottoutilizzati mentre altrove si scoppia dicono che si potrebbe comunque fare meglio con quel poco che si ha.

LA STAMPA

 

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