Locri: turismo e moda nei beni confiscati, la resistenza dei partigiani antindrangheta

dalla nostra inviata ALESSANDRA ZINITI

LOCRI – “OH, MI raccomando, ognuno telefoni a una famiglia della Locride, che portino ognuno cinque persone per dire da che parte stanno”. Alle sei e mezza del pomeriggio, nella chiesa madre dove celebra una messa in ricordo di Vincenzo Grasso, una delle centinaia di vittime della mafia che si ricordano oggi, don Luigi Ciotti fa appello ai fedeli.

E’ la risposta alla sfida lanciata da chi la notte tra domenica e lunedì si è “armato” di spray per imbrattare i muri dei palazzi della Chiesa, dell’amministrazione, della scuola di Locri con scritte che suonano come l’affermazione di una supremazia, quella del dominio della ‘ndrangheta sulla gente di questo pezzo d’Italia dimenticata.

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Se la Locride che “resiste” risponderà compatta all’appello di don Ciotti lo si vedrà oggi alla marcia in memoria di tutte le vittime della mafia, ma intanto chi da anni lavora a un progetto di riscatto e di opposizione alla ndrangheta non si tira certo indietro. “Chiunque sia stato a scrivere quelle frasi ci lancia una sfida sul lavoro che noi dobbiamo accettare. Tutti devono avere ben presente che non si può rispondere se non mettendo mano alla iniquità che il nostro territorio è costretto a subire da anni. La nostra strategia è dimostrare che la ‘ndrangheta non è solo cattiva ma anche inutile e che l’etica invece è vincente ed efficace. Solo così delegittimeremo le mafie”. Chi parla è Vincenzo Linarello, presidente del Goel, il consorzio sociale che concretizza la sua lotta alla ‘ndrangheta con la costruzione di un tessuto sociale ed economico che sta sempre di più allargando le sue attività, mettendo a reddito anche i beni confiscati che ha ottenuto in gestione. Come l’ostello Locride, cinque piani con 45 posti letto, perno di un circuito di turismo responsabile. Ad appena dieci giorni dalla sua assegnazione, qualcuno ha rubato la caldaia e danneggiato l’impianto di pressurizzazione dell’acqua provocando l’allagamento della struttura.

Perché, in Calabria così come in Sicilia, se c’è una cosa che le cosche non accettano è che la loro “roba” venga riutilizzata a scopo sociale o per far girare l’economia pulita. Con 200 lavoratori dipendenti, un fatturato annuo di sei milioni e mezzo di euro, 12 cooperative, 2 associazioni di volontariato, una fondazione e 28 aziende agricole, i “partigiani” antindrangheta sfidano le cosche, dal food al turismo, dall’agricoltura biologica alla moda, su quel terreno del lavoro che, per chiunque viva la trincea della Locride, è l’unico campo sul quale dovere giocare questa sfida. Lo dice chiaro e tondo il vescovo di Locri, Francesco Oliva. È stato lui, ieri mattina alle 7, ad accorgersi di quelle scritte sprezzanti sul muro della sua dimora in cui ospita Don Ciotti e nel pomeriggio, con la macchina dei carabinieri che adesso fa la ronda sotto la sua finestra, osserva: “Io vedo tanti segnali incoraggianti, soprattutto tra i nostri giovani che provano a cambiare mentalità e a combattere una cultura diffusa e pervasiva come è quella mafiosa. Anche la Chiesa qui scende in campo sporcandosi le mani, accettando di mettersi in prima linea per riconquistare spazi destinati a oratori, parrocchie, campi da gioco, centri di aggregazione, come a Gioiosa Jonica in un bene confiscato e dato alle fiamme dieci giorni prima della consegna. Ma è necessario che non ci si fermi alle parole, Ai nostri giovani dobbiamo dare memoria ma anche futuro. La richiesta di lavoro è legittima in un paese come la Calabria dove è privilegio e non diritto. Un paese che vorrebbe anche sentirsi parte dell’Italia e che invece ne è ai margini, senza infrastrutture, senza mezzi di trasporto”.

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Nelle strade, nei bar della cittadina che si prepara alla grande marcia di oggi, gli scout fanno avanti e indietro preparando cartelloni e striscioni. Nessuno sembra prestare particolare attenzione alle scritte della vergogna che sono state cancellate a tempo record, “ma purtroppo ve ne siete accorti subito – si rammarica il sindaco Giovanni Calabrese – peccato perché Locri tutto ha bisogno tranne che di altra pubblicità negativa. Io non so se sono stati deficienti o malavitosi, gli investigatori lo scopriranno presto, ma in ogni caso non abbiamo paura di gridare “siamo tutti sbirri”. Oggi al corteo sono sicuro che i ragazzi di Locri, la tanta gente perbene non avrà paura di gridarlo a fianco di Don Ciotti. Abbiamo vissuto anni terribili per colpa di questa gentaglia e se oggi in Calabria non c’è lavoro è perché nessuno ha il coraggio di investire nel territorio. Ci hanno lasciati soli troppo a lungo”.

REP.IT

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