“Addormentatemi per sempre”. Così Dino ha deciso di morire

Dino Bettamin, 70 anni, aveva lavorato come macellaio nel suo paese, Montebelluna, nel Trevigiano (Foto Daniele Macca/La Tribuna di Treviso

fabio poletti
inviato a montebelluna (tv)

Al bar dell’Inter vicino alla chiesa non era più riuscito ad andare. Anche i pappagallini che allevava con amore non riuscivano più a strappargli un sorriso. La vita di Dino Bettamin non era più la sua vita. Anche il lavoro da macellaio, prima da suo cugino poi alla Pavo, era un ricordo lontano. Per fortuna ogni tanto passava Guido, lo caricava su una carrozzella e lo portava a fare un giretto. L’ultima gita, se lo ricorda bene Tommaso, il figlio di Dino, l’avevano fatta 15 giorni fa: «Aveva voluto andare a prendere la cioccolata ad Asolo. Poi quando ha sentito di non farcela più ha chiesto di essere addormentato per spegnersi senza soffrire».

 

In questa villetta bianca a un piano dietro a una chiesa, Dino Bettamin ha vissuto tutta la sua vita e ha deciso di morire. Nel più semplice dei modi. Non rifiutando le cure. Non facendosi staccare dal respiratore che lo teneva in vita, l’ossigeno come unica cura. Solo chiedendo di non essere attaccato ai sondini esofagei o a quelli nello stomaco, lui che da settimane non riusciva più a mangiare perchè un solo boccone poteva soffocarlo. E chiedendo e ottenendo di essere sedato con un cocktail di midazolan, aloperidomo e morfina, con lo stesso protocollo adotatto per i malati terminali di cancro. Lui che non aveva il cancro ma che il termine della sua vita era solo dietro l’angolo. «Mio marito aveva paura di morire soffocato. Se non si fosse addormentato sarebbe morto così», ripete per la milionesima volta la signora Maria dopo che la storia è finita sulla «Tribuna di Treviso», dopo che le televisioni sono venute fino a qui, a questa villetta bianca con tanto verde dove lunedì, alle 16.15, Dino ha smesso di soffrire.

 

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Ovunque sono polemiche. La parola eutanasia viene citata a sproposito. Il direttore generale della Ussl 2 Francesco Benazzi non si scompone: «Un paziente può dire: “Basta con i farmaci, lenite il mio dolore e idratatemi”. La strada è segnata dal Comitato Bioetico». E figuriamoci se si agitano Anna Tabarin e Santo Tavana, i due infermieri dell’associazione «Cura con cura», anche il nome è gentile, che per due anni sono stati a fianco di Dino Bettamin. Anna Tabarin lo ripete e si aggiusta gli occhiali mentre parla, quasi volesse esse sicura di essere capita bene: «Il signor Dino non è Eluana Englaro. Non è stato staccato nessun respiratore. Non gli sono stati tolti farmaci né gliene sono stati dati per accelerare la sua morte. Non abbiamo paura. Non abbiamo fatto niente che non sia stabilito dalla legge o dal comitato Bioetico».

 

Il cocktail di farmaci che lo hanno sedato, la prima volta per un malato di Sla, è stato somministrato da un medico della guardia medica. Sul referto di morte si parla di arresto cardiaco. Tecnicamente lo ha ucciso la Sla. Quello che è successo davvero lo dice Santo Tavana, un omone con la barba ma si capisce che è un buono: «Il signor Dino è morto di morte naturale nel modo più naturale possibile». Una morte che il signor Dino deve aver iniziato ad augurarsi cinque anni fa. Quando erano comparsi i primi segni della Sclerosi Laterale Amiotrofica, che tutti chiamano Sla pensando che faccia meno paura. Chi la prende ne è terrorizzato. I muscoli si bloccano. Deglutire diventa impossibile. Il respiro si ferma. «La cosa più terribile è l’angoscia che genera nei pazienti. Angoscia e attacchi di panico. Il signor Dino aveva paura di morire soffocato. Tre anni ha lottato. Poi quando non ce l’ha fatta più ha chiesto di essere aiutato a non soffrire», assicura l’infermiera Anna.

 

Il signor Dino lo diceva a tutti. Lo diceva alla moglie. Lo ripeteva ai figli. Anche al parroco che ogni settimana gli portava l’eucarestia a casa glielo aveva detto. Poche parole di un macellaio di paese che aveva studiato le questioni etiche legate alla malattia, aveva dialogato con la sua coscienza e alla fine a tutti ripeteva sempre quelle parole semplici perchè è semplice dire che non ce la si fa più: «Voglio dormire fino all’arrivo della morte. Senza più soffrire a causa di questa malattia». Lo aveva detto anche a Guido, il suo amico, durante quell’ultima gita per una cioccolata calda ad Asolo, se lo ricorda bene sua moglie: «Anche a noi diceva che non voleva più vivere questa vita che non era, questa che non era più la sua vita». Il suo pensiero il signor Dino lo ha dovuto dire davanti ai famigliari e agli infermieri e poi più volte ai medici. L’unica raccomandazione era che non gli togliessero il respiratore. E alla fine dopo che sua moglie gli ha detto che tutto era stato fatto come lui aveva voluto, il signor Dino ha chiuso gli occhi e se ne è andato finalmente in pace.

LA STAMPA

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