Archive for the ‘Esteri’ Category

Grecia, poche speranze di trovare superstiti. “È la tragedia più grave”

sabato, Giugno 17th, 2023

Franceco De Palo

Mentre non si fermano le operazioni di ricerca nelle acque dinanzi al Peloponneso, con una fregata militare, un elicottero Super Puma e diversi droni, e si assottigliano le speranze di trovare sopravvissuti dopo il naufragio del peschereccio Adriana, sono le voci politiche a confrontarsi aspramente, palesando attacchi ideologici accanto ai racconti di chi ce l’ha fatta. Intanto chi aveva lasciato intendere che vi fosse una responsabilità diretta greca è stato smentito dalle testimonianze, che parlano apertamente di due offerte di soccorso da parte della Guardia Costiera ellenica. Quest’ultima ha lanciato una corda prima dell’affondamento, ma gli immigrati l’hanno sciolta. Fino a questo momento sono stati salvati 104 migranti, di cui 71 trasferiti in una struttura a Malacca, 27 ricoverati in ospedale, 9 arrestati, mentre i cadaveri recuperati sono 78. Nonostante ciò, le ong continuano ad attaccare: Save the Children, assieme ad Amnesty International e altre otto, invoca un’indagine completa sul ruolo degli Stati membri e sul coinvolgimento di Frontex, passaggio che si è verificato sin dalle prime ore dopo il naufragio quando, sul molo di Kalamata, polizia e intelligence greca hanno iniziato a interrogare gli scafisti, raccogliendo preziose informazioni sul viaggio e su quanto ha fruttato alle organizzazioni criminali. Ma sembra non bastare alle ong, che accusano le autorità di diversi Stati membri di essere state informate dell’imbarcazione in difficoltà molte ore prima del suo rovesciamento e anche un aereo di Frontex era presente sulla scena, sostengono. Non fanno menzione dei rifiuto da parte dell’Adriana dell’intervento greco, anzi chiedono alla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, di «assumere finalmente una posizione chiara rispetto al cimitero a cielo aperto alle frontiere terrestri e marittime dell’Europa e a richiamare gli Stati membri alle proprie responsabilità». Il riferimento è a un sistema di asilo europeo, nella consapevolezza che, come osservato dal direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, salvare vite umane è «ovviamente la massima priorità» dell’Agenzia europea. Bruxelles, chiamata i causa dalle ong, replica per voce della commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, secondo cui non ci sono ancora tutte le informazioni su cosa è successo nel naufragio di Pylos. Ma su un punto non ci sono dubbi: «I trafficanti che mettono queste persone sulle navi non le stanno mandando verso l’Europa.

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Russia, Progozhin si vuole prendere il Cremlino: “Sfida a Putin”, c’è la data

venerdì, Giugno 16th, 2023

Il capo dei mercenari del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, è ormai un ex fedelissimo di Vladimir Putin. I suoi attacchi ai vertici militari russi vanno di pari passo con le rivendicazioni per le sue milizie. Ma il cuoco di Putin, come era stato soprannominato per le sue attività nella ristorazione, punta al Cremlino, a diventare lui stesso presidente. Non attraverso normali elezioni, spiega un articolo del Giornale, ma il duello di potere tra Putin e il suo ex fedelissimo “potrebbe comunque arrivare a una conclusione, potenzialmente fatale per uno dei contendenti, entro i primi di luglio”.

La data da segnare è quella del primo luglio, Putin ha ordinato di persona al capo di Wagner di “regolarizzare” il gruppo mercenario che opera in Ucraina (oltre che in Africa e in altri scenari)  e irreggimentarli nelle  forze armate russe. Pigozhin ha rifiutato e lo scontro sembra inevitabile.Da Mesi il capo di Wagner spara a zero sui vertici militari russi  e in particolare con il ministro Shoigu, a capo delle operazioni in Ucraina. Ma gli ultimi successi dei russi nella guerra portano tutti la firma di Prigozhin. Ora “si è trasformato in un ambizioso e vociferante rivale anche politico del Numero Uno”, si legge nell’analisi che ricorda come recentemente siano comparsi manifesti che mostrano Prigozhin nelle vesti di candidato presidenziale.

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Il naufragio dei migranti in Grecia: «Cento bambini nella stiva». Le vittime potrebbero salire a 600

venerdì, Giugno 16th, 2023

di Gianni Santucci

Fermati nove scafisti egiziani. Le salme recuperate sono 78, centinaia i dispersi. Il medico dell’ospedale: «Tra i 104 sopravvissuti c’è chi ricorda molti minori sottocoperta»

Il naufragio dei migranti in Grecia: «Cento bambini nella stiva». Le vittime potrebbero salire a 600

DAL NOSTRO INVIATO
ATENE — La notte non porta nuovi sopravvissuti. Non porta neppure altri corpi di morti (per ora 78). L’alba illumina soltanto voci d’altra disperazione. Dei 104 messi in salvo, una trentina sono in ospedale. Una dozzina passano l’intero pomeriggio sotto interrogatorio negli uffici della guardia costiera: nove, in serata, finiscono in arresto, accusati di far parte dell’equipaggio al comando del peschereccio affondato. Sono tutti egiziani. Il comandante sarebbe riuscito a scappare nel pomeriggio prima del naufragio, ma non ci sono conferme della testimonianza raccolta dagli attivisti di Alarm Phone. Gli altri salvati, gli innocenti, sono rimasti in un silos d’acciaio azzurrognolo nel porto di Kalamata, Peloponneso sud-occidentale, prima di venire trasportati (tra ieri sera e oggi) in una struttura di accoglienza a Malakasa, non lontano da Atene.

Tre giorni in mare

Sono gli unici sopravvissuti (tutti uomini) al naufragio del peschereccio che s’è ribaltato a 80 chilometri dalla costa greca nella notte tra martedì e mercoledì. Secondo le testimonianze raccolte dalla polizia, avrebbero pagato tra i 4 e i 7 mila dollari per il viaggio, e sarebbero partiti dalla Libia orientale, zona di Tobruk, Cirenaica, il 10 giugno. Quando è scattato l’allarme, erano dunque in mare già da tre giorni, con poca acqua e pochi viveri. Tre giorni in cui il peschereccio ha avuto due guasti al motore, riparati in qualche modo da chi era al comando. Fino alla rottura definitiva, nel pomeriggio di martedì, e l’inizio della lenta deriva, a 45-50 miglia nautiche da Pylos.

«Non si trova nessuno»

Una soccorritrice dell’Hellenic rescue team racconta: «I sopravvissuti hanno fame, sete. Cercano di farsi capire a gesti». Anche loro, cercano i dispersi. «Sono in totale stato di choc — racconta ieri all’agenzia Ap Erasmia Roumana, capo delegazione dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati — Chiedono di potersi mettere in contatto con le famiglie. E continuano a chiedere dei dispersi. Sul peschereccio avevano amici, parenti, figli. E di tutte queste persone che mancano, non si trova nessuno». Un ragazzo egiziano, di fronte alle telecamere, implora un aiuto per ritrovare il cugino, che era a bordo con lui. Soprattutto, non si trovano i bambini.

I bambini mancanti

Dicono che ce ne fossero molti, nella stiva. Almeno 50, forse 100. Le stime ipotizzano, in totale, 750 migranti a bordo. Considerato che le persone in salvo sono 104, il numero delle vittime potrebbe essere enorme, più di 600. In ospedale a Kalamata ieri mattina c’erano ancora 29 persone. Manolis Makaris, cardiologo, ha parlato dello stress dei ricoverati, e soprattutto di chi chiama per sapere se ci siano bambini: «Per tutta la notte mi hanno mandato foto di minori per scoprire se sono stati salvati. Alcuni sapevano che c’erano bambini nella stiva». Quanti? «Ci sono testimonianze diverse, alcuni dicono 50, altri 100, nessuno di loro può sapere con precisione chi ci fosse sottocoperta».

Tante versioni

I magistrati greci hanno aperto un’inchiesta. L’organizzazione Alarm Phone fornisce una ricostruzione dettagliata dei contatti col peschereccio, tra le 14.17 e le 20.05 di martedì, quando la barca già in mattinata viene comunque individuata da un aereo dell’agenzia Frontex, e avvicinata da almeno sette imbarcazioni, tra qui lo yacht che trasporterà i sopravvissuti, il mercantile Lucky Sailor che riesce a fornire acqua, alcune vedette della guardia costiera greca che, secondo la versione delle autorità elleniche, avrebbero ricevuto due informazioni: il peschereccio non era in imminente pericolo e le persone a bordo intendevano proseguire verso l’Italia. Versioni che potrebbero essere smentite, e che sono ora al centro delle polemiche internazionali. Ha detto l’ammiraglio della guardia costiera greca in pensione Nikos Spanos: «La nave era un cimitero galleggiante, una barca molto vecchia. Di solito donne e bambini in tali viaggi li mettono sul fondo. Li bloccano in modo che non possano muoversi. Il ministero della navigazione è stato informato tramite Frontex. L’Italia ci ha “affidato” l’incidente poiché si stava svolgendo nella nostra zona. La nave era in difficoltà. In un caso del genere, lo stato greco doveva agire immediatamente. Far partire il piano operativo, le barche di soccorso dovevano precipitarsi nell’area».

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Putin, Prigozhin e Shoigu: “triangolo di fuoco” al Cremlino

mercoledì, Giugno 14th, 2023

Mauro Indelicato

C’è chi ha visto nel video pubblicato nei giorni scorsi direttamente dai canali del Cremlino un chiaro sintomo di gelo politico: il presidente Vladimir Putin e il ministro della Difesa, Sergej Shoigu, sono assieme all’interno di un ospedale militare di Mosca in visita ai soldati feriti in Ucraina ma, a guardare bene le immagini, i due si ignorano. Non è detto però che ciò sia avvenuto di proposito, del resto anche lo stesso Cremlino è ben consapevole dell’importanza di non far trasparire all’esterno possibili screzi interni.

Ad ogni modo, fino a oggi Putin non ha espressamente preso le difese del suo ministro della Difesa. Nemmeno dopo gli ultimi violenti attacchi verbali da parte di Evgenji Prigozhin, il capo della Wagner che ha addirittura evocato una fucilazione per Shoigu e per il capo di stato maggiore, Valerji Gerasimov. Nelle ultime ore ha lanciato ulteriori gravi accuse contro Mosca: “La verità – ha detto Prigozhin sul proprio canale Telegram – è che il ministero della Difesa ha provato a distruggerci”.

Il rifiuto di Prigozhin di firmare accordi con la Difesa

L’ultimo episodio detonatore di una tensione latente da mesi tra Prigozhin e Shoigu, è dato dalla volontà del ministro di inquadrare contractor, miliziani e mercenari nei ranghi della Difesa. Farli cioè dipendere direttamente dal proprio ministero. Una mossa, secondo le intenzioni rese note da Mosca, volta a unificare la cabina di regia per le operazioni belliche in Ucraina. Per Prigozhin però ci sarebbe altro in ballo. Secondo il fondatore e capo della Wagner, la più importante compagnia di mercenari russa, il ministero vorrebbe semplicemente riprendere il comando dopo che l’esercito regolare su più fronti è andato in difficoltà ed è stato salvato solo dall’intervento delle milizie.

Prigozhin non ha quindi gradito. Giudica la volontà di Shoigu in chiave negativa, sia nei modi che nel merito. “La Wagner non firmerà alcun contratto con Shoigu – ha dichiarato Prigozhin in un audiomessaggio diffuso su Telegram – Il ministro della Difesa non è in grado di controllare in modo appropriato le formazioni militari”. Dunque, la sua compagnia continuerà a rimanere autonoma.

Mentre le forze ceceni di Kadyrov sabato hanno firmato gli accordi inquadramento nella cabina di regia del ministero, rispettando quindi l’ultimatum imposto da Shoigu, la Wagner è rimasta fuori da ogni intesa. E martedì lo stesso Prigozhin ha ulteriormente rincarato la dose: “Non è detto che la compagnia resti in Ucraina dopo la presa di Bakhmut – ha dichiarato in un’altra nota – Come questione di trolling, posso dire che ci trasferiremo nel nord del Messico“. Una provocazione conclamata quest’ultima, ma indicativa dell’aria che si respira tra la compagnia e il ministero.

Il nuovo attacco frontale del capo della Wagner contro Shoigu

Le ultime frasi di Prigozhin sono arrivate dopo un deciso attacco verbale sferrato in un video del 5 giugno scorso. È qui che il comandante dei mercenari russi ha esplicitamente parlato di fucilazione per Shoigu. Non solo per il ministro ma, come detto in precedenza, anche per il capo di stato maggiore Gerasimov.

Attacchi molto duri, difficilmente digeribili dalla leadership russa in tempo di pace e maggior ragione adesso in tempo di guerra. L’accusa principale per il ministro e per il capo di stato maggiore è data dall’essere considerati incapaci e dal non voler portare a termine la missione in Ucraina.

Non solo ma, sempre secondo Prigozhin, ci sarebbe stato un tentativo di vera e propria distruzione della sua compagnia. “È avvenuto mentre combattevamo a Bakhmut – ha rimarcato su Telegram – non stiamo parlando solo di qualche interferenza, ma di una distruzione fisica e intenzionale. Da Mosca hanno provato a chiuderci dentro la città e lasciarci senza armi”.

L’eterno duello tra la Wagner e la Difesa

Quello in corso in questi giorni non è certo l’unico confronto tra Prigozhin e i comandi del ministero della Difesa e dell’esercito. Gli scontri tra le due parti si sono acuiti durante il gravoso assedio di Bakhmut, durato per mesi fino alla vittoria rivendicata dagli uomini della Wagner. Prigozhin durante l’avanzata più volte si è rivolto contro Shoigu e Gerasimov. Alla vigilia della festa del giorno della vittoria del 9 maggio, il capo della Wagner ha visitato alcuni cimiteri militari dove sono stati sepolti i propri uomini caduti in Ucraina. Distese di tombe con le quali Prigozhin ha voluto sottolineare il tributo di sangue della Wagner, a fronte del poco sostegno, secondo la sua tesi, da parte del ministero della Difesa.

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Saied, al tavolo col dittatore: così la potente Europa si umilia a chi in Tunisia ha scatenato la caccia al migrante

lunedì, Giugno 12th, 2023

DOMENICO QUIRICO

Per definire di che stoffa è fatta una politica estera, italiana ed europea, passare in rassegna i nemici non basta. Quelli sono definiti con efficacia, stramaledetti ad ogni balzo della Storia: Putin, ovviamente, il nuovo Hitler con le atomiche, il cinese Xi con i miliardi in cassaforte e le perfide fellonie spionistiche di TikTok, e poi ayatollah e califfi. Più complicato l’identikit con gli amici, gli alleati, i partner. Perché qui tutto si fa opaco, diventa faccenda cincischiata. Guardiamo, per esempio, all’altra sponda del Mediterraneo. Chi sono gli amici? Occorre una pausa intensa per sillabare alcuni nomi che affliggono, qualcosa scricchiola nelle nostre idee chiare e distinte.

L’egiziano al Sisi, meticoloso collezionista di oppositori in galera e non solo, reincarnazione antropologica del pensionato Mubarak con la vivacità autocratica che l’età e l’abuso aveva tolto al raiss. La consolidata gang petrolifera algerina, di pretoriani e affaristi. Poi ci sono i libici: qui ancora stentiamo a trovare l’amico con la a maiuscola, il Gheddafi bis che ci garantisca petrolio e non migranti. E poi c’è lui, Kais Saied, il tunisino, destinatario di visite ormai quasi quotidiane, incalzanti, non solo più italiche ma prestigiosamente europee. A lui si rivolgono promesse di amicizia e sostegno in una prosa sempre più prensile: “insostituibile alleato”, “riferimento indissolubile e antico”, guida di un Paese in difficoltà ma che non può fallire se non al prezzo di reciproche e collettive catastrofi, Dio ci scampi. Una segatura di moine, complimenti, preoccupazioni affettuose a cui abbiamo convertito, da Roma, perfino quegli scetticoni di Bruxelles. E lo definiamo un trionfo diplomatico.

Già Saied: personaggio incandescente sulla tiepida “corniche” di Cartagine, forse un po’ frettolosamente etichettata come l’unica rivoluzione araba riuscita e provvista di Costituzione, laicità, diritti. E invece spunta lui, tra ex terroristi islamici convertiti alla bustarella democratica e maneggioni di pura epoca benalista: un politico insofferente alla rivoluzione del pluralismo a vantaggio della vecchia solfa della gestione solitaria del potere, ovviamente camuffata come “ascoltare il popolo, liquidare i politicanti eccetera…”.

Dovremmo fiutare subito le promesse olfattive dell’aspirante tiranno populista. Spigolando sulla disperazione di un Paese in miseria e saccheggiato da una classe politica corrotta e incapace si è costruito, a passo svelto, un potere assoluto a suo immagine e somiglianza. Ben Ali, il grottesco micro tiranno sgambettato dalle sassaiole dei ragazzi di rue Burghiba nel 2011, se fosse ancora vivo, si sarebbe lustrato gli occhi, invidioso di fronte a tanta meraviglia autocratica.

Allora, a guardar bene Saied, dovremmo, noi europei, insaccarlo sveltamente e senza esitazioni nell’elenco dei nemici, da isolare e soffocare: nemici della democrazia, del diritto umano, penale e costituzionale, dell’occidente tutto, con le sue sacrosante impunture legalitarie. Appena un girone sotto Putin, e solo perché le sue possibilità internazionali di nuocere sono, per ragioni di dimensioni, più modeste. Ma in questo campo è la natura del potere tirannico in sé e per sé che deve determinare la condanna, non le sue dimensioni. Noi siamo questo: combattiamo i tiranni, “senza se e senza ma”. Con le dovute eccezioni. E infatti… eccoci qua in delegazione, a scrutare speranzosi l’aggrottar di ciglia del micro raiss con certificati di giurista eccelso e fare intimidatorio, a lusingarlo per lucrarne qualche modesto riverbero di assenso, a riempirgli le saccocce di euro; deprecando, addirittura, la mancanza di “sensibilità” del Fondo monetario che gli vorrebbe imporre condizioni e vincoli, che insolenza! in cambio dell’assegno anti bancarotta.

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Ucraina, distrutta un’altra diga. “I russi vogliono fermare la controffensiva”

lunedì, Giugno 12th, 2023

Un altro attacco a una diga dopo la distruzione di quella di Kachovka. A denunciarlo sono gli ucraini, in particolare Valerii Shershen, portavoce delle Forze di Difesa del fronte di Tavria, che ha rilasciato una dichiarazione a Ukrainska Pravda. Secondo quanto riferito si tratta di una diga sul fiume Mokri Yaly, nell’Oblast’ di Donetsk, la cui distruzione avrebbe causato inondazioni su entrambe le sponde del fiume. “Sul fiume Mokri Yaly, gli occupanti hanno fatto saltare una diga, che ha portato a inondazioni su entrambe le sponde del fiume. Tuttavia, questo non influisce sulle operazioni offensive delle Forze di Difesa del Fronte di Tavria”, ha detto il portavoce al giornale ucraino. L’attacco si inserisce in una serie di raid mirati a compromettere le strutture idroelettriche per rallentare la controffensiva dell’Ucraina, spiega Shershen.

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Quattro bimbi trovati vivi nella giungla della Colombia: sopravvissuti da soli per 40 giorni dopo un incidente aereo

sabato, Giugno 10th, 2023

Quattro bambini sono stati ritrovati vivi nelle foreste della Colombia dopo essere sopravvissuti per circa 40 giorni in seguito a un incidente aereo. Hanno 13, 9, 4 e un anno. Originari del gruppo indigeno Uitoto, i piccoli vagavano soli nella giungla dopo lo schianto del Cessna 206 su cui viaggiavano con la madre, il pilota e un parente. Tutti e tre gli adulti sono morti e i loro corpi sono stati trovati dai militari sul luogo dell’incidente.

Erano dispersi dai primo maggio nelle giungle a Sud del Paese. «Una gioia per tutto il Paese! I 4 bambini che si erano persi 40 giorni fa nella giungla colombiana apparivano vivi», ha annunciato sul suo account Twitter il presidente colombiano Gustavo Petro, che ha confermato la notizia annunciata pochi minuti prima da Radio Caracol. I protagonisti di questo miracolo di sopravvivere nella giungla per 40 giorni sono i minorenni Lesly Mukutuy, 13 anni; Soleiny Mukutuy, 9 anni; Tien Noriel Ronoque Mukutuy, 4 anni, e la piccola Cristin Neruman Ranoque di un anno. I minori, fratelli tra loro, sono stati trovati in un punto sperduto tra i dipartimenti di Caquetà e Guaviare che sono stati perlustrati senza sosta per settimane da circa 200 soldati, tra cui commando delle Forze Speciali dell’Esercito, e indigeni di varie tribù che conoscevano la giungla.

Le forze armate colombiane hanno pubblicato le foto del ritrovamento dei quattro bambini sopravvissuti ad un incidente aereo e a 40 giorni da soli nella giungla. «L’unione degli sforzi ha reso possibile questo momento di gioia per la Colombia», si legge in un post sull’account attribuito al generale Giraldo. «Gloria ai soldati delle Forze militari, alle comunità indigene e alle istituzioni che hanno partecipato all’Operazione speranza», si esulta.

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Droni sui campi di addestramento: “Spionaggio militare”, allarme in Germania

venerdì, Giugno 9th, 2023

Una serie di voli di droni su siti di addestramento della Bundeswehr stanno alimentando il sospetto di spionaggio militare nei confronti dell’esercito tedesco. Per questo motivo, le autorità di sicurezza stanno indagando su alcuni voli sospetti in Sassonia-Anhalt nell’area di addestramento militare di Altengrabow (Jerichower Land), come riporta la Mitteldeutsche Zeitung (Mz). «Un numero medio di incidenti è stato segnalato ad Altengrabow quest’anno». «Una buona parte degli avvistamenti di droni è avvenuta di notte», ha detto un portavoce del comando territoriale della Bundeswehr. Secondo le informazioni della Mitteldeutsche Zeitung, riporta Ntv, nelle ultime settimane sono stati segnalati oggetti volanti sospetti spesso tra le 22:00 e mezzanotte. Per motivi di sicurezza militare, non è stato possibile divulgare ulteriori dettagli dell’indagine, ha spiegato il comando su richiesta. «La Bundeswehr lavora a stretto contatto con altre autorità di sicurezza come la rispettiva polizia di stato, la polizia federale e l’Ufficio federale della polizia criminale», ha riferito il comando. Dopo le notizie divulgate da Mz, è stato attivato anche il servizio militare di controspionaggio (Mad). Il portavoce della Bundeswehr ha sottolineato che i voli con droni sui siti della Bundeswehr sono generalmente vietati.

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Usa, Trump incriminato per i documenti riservati di Mar-a-Lago va all’attacco: “Un giorno buio”. Cosa rischia e come cambia la corsa alla Casa Bianca

venerdì, Giugno 9th, 2023

dal nostro corrispondente Alberto Simoni

WASHINGTON. Donald Trump è il primo ex presidente statunitense ad essere incriminato. È stato lo stesso tycoon a rivelare con un post sul suo profilo sul social Truth che ai suoi avvocati è stata comunicata la decisione del procuratore speciale Jack Smith. Trump dovrà presentarsi in tribunale federale a Miami martedì nel pomeriggio. È la seconda incriminazione per l’ex presidente in pochi mesi e fa seguito a quella per il pagamento della pornostar Stormy Daniels. Il Dipartimento di Giustizia e il procuratore speciale non hanno ancora confermato o commentato la notizia che è stata diffusa dallo stesso Trump e poi rilanciata dalla CNN e dagli altri media Usa. E proprio alla CNN è intervenuto uno degli avvocati dell’ex presidente Jim Trusty che intervistato da Kaitlan Collins ha detto di aspettarsi di ricevere entro martedì la notifica ufficiale e ha spiegato che sono sette i capi di imputazione fra cui ostruzionismo alla giustizia, false dichiarazioni, cospirazione e una serie di accuse in base all’Espionage Act. Sono accuse molto gravi che gettano gli Stati Uniti in una situazione senza precedenti dato che, come ha evidenziato il New York Times, che Trump è non solo un ex presidente ma è anche «il candidato in testa nella corsa alla nomination repubblicana e potrebbe nel 2024 sfidare Biden la cui Amministrazione ora già tentando di incriminarlo». Se ritenuto colpevole Trump rischia diversi anni di prigione.

L’aspetto giudiziario troverà maggiori riscontri e chiarezza nelle prossime ore quando l’impianto accusatorio verrà svelato; intanto il fronte politico è già in fibrillazione. Kevin McCarthy, Speaker della Camera, ha detto che «è un giorno nero» per gli Stati Uniti e definito quando accaduto «una grave ingiustizia». Asa Hutchinson, rivale nella corsa alla nomination, ha chiesto al tycoon di ritirarsi dalla corsa, mentre il suo rivale numero uno, Ron DeSantis si è scagliato contro la politicizzazione del Dipartimento di Giustizia. Il tycoon ha comunque confermato i due comizi in programma per sabato.

Trump dopo aver dato «la notizia», ha fatto seguire un video in cui ha detto di essere «una persona innocente» e parlato anch’egli di giorno buio per l’America. Quindi ha denunciato la «corrotta Amministrazione Biden» che usa il potere dello Stato per perseguire un rivale politico.

Usa, Trump incriminato per i documenti riservati di Mar-a-Lago si difende: “Sono innocente”

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Nella guerra senza limiti né deterrenza si vince solo rovesciando i fronti

martedì, Giugno 6th, 2023

Domenico Quirico

Con quali limiti? O addirittura senza limiti? La guerra in Ucraina per alcuni mesi è avanzata con infinitesimali spostamenti quotidiani; sì, una guerra lenta. Addirittura pareva non muoversi nulla e già qualcuno evocava immobilismi da primo conflitto mondiale. Confessiamolo: noi che eravamo al comodo riparo della non belligeranza iniziavamo ad annoiarci. Eppure invisibili divinità cattive costruivano una rete di direzioni, di inclinazioni e di segni, una muscolatura segreta e terribilmente viva per rendere la guerra più grande e pericolosa.

Quel silenzio teso avrebbe dovuto metterci in allarme, era un silenzio di complotto. Non a caso i messaggeri, rarissimi, confusi, tardavano a tornare e sempre a mani vuote: nessun negoziato, vietato parlare di tregua. La misteriosa controffensiva ucraina, indicata come risolutiva, palingenetica proprio perché così misteriosa, sembrava l’unica possibile via per il ritorno all’equilibrio. Ricchi di armi e di voglia guerriera, abbonati all’eroismo, gli ucraini avrebbero ricacciato i russi ristabilendo le frontiere violate, termine ultimo e invalicabile della guerra. La pace era dunque misurabile al centimetro: là e non oltre e tutto sarebbe ritornato come per magia al 23 febbraio. Giusto in tempo per andare in vacanza e per discutere le fette della ricostruzione. Insomma: una guerra raffreddata da manuale di storia. E Putin? E la Russia?

Solo alcuni spregiudicati lasciavano, cautamente, intravedere la tentazione a lucrare, “en passant”, anche la caduta di un altro pestifero autocrate guerrafondaio. Facevano capolino la idea hegheliana della scaltrezza della ragione, e quella, orribile e apparentata, del Male necessario al Bene: in fondo alcune decine di migliaia di morti… Un prezzo accettabile per un mondo ben ordinato.

E invece… La guerra non fa sconti, non si auto limita, ci trascina implacabile a punti estremi di virulenza. Gli ucraini, gli unici che non mentono sulle loro intenzioni, portano la guerra in territorio russo, scavalcano a cannonate, con i droni, sui blindati il prefissato limite. Giorno dopo giorno la modesta finzione dei raid di improbabili “partigiani democratici russi” viene abbandonata. Qui si rovescia il fronte, si attacca esplicitamente dall’altra parte, si dà l’assalto alle loro città. A mettere al riparo i bambini adesso sono i governatori russi. Forse si punta ad avvolgere in una sacca gigantesca l’armata putiniana che si è affannata a munire le trincee del Donbass e che si troverebbe il nemico alle spalle.

Dopo mesi di allegre certezze annibaliche serpeggia un po’ di paura, di drammatizzazione vagamente allucinatoria: ma questa è un’altra guerra… E cosa faranno i russi che si inferociscono quando si calpesta il loro sacro territorio? Che non badano più alle magagne di chi li comanda ma solo ad annientare l’invasore. Come provano lo svedese Carlo dodicesimo, Napoleone e l’imbianchino stratega con i suoi panzer. Ma questa è la logica della guerra. Soltanto rovesciando le parti, andando ad annientare il nemico nel suo territorio si vince. La sconfitta non finisce mai mentre la vittoria accade e si consuma.

Insomma: per prevalere si deve marciare su Mosca, altro che rimettere in piedi le vecchie palette del confine. Sarebbe soltanto un episodio, non risolutivo. Per vincere bisogna imporre la resa ai russi e costringerli a consegnare il responsabile della guerra, Putin e la sua obbediente camarilla. Questa è la guerra, spiegano con realismo gli ucraini, il realismo di chi la combatte e subisce. A noi, ipocriti spettatori, è consentito il comodo di tracciare linee infrangibili, limiti da non superare, obiettivi da non sussurrare neppure sottovoce. La finzione è una delle stoffe con cui è fatta la nostra vita mentale. Ma la guerra si può vincere solo calpestando la terra del nemico e costringendolo ad abbassare le armi. Come hanno fatto i russi più di un anno fa o gli americani in Afghanistan e nella seconda guerra irachena.

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