Archive for the ‘Economia – Lavoro’ Category

Pnrr, dietro i ritardi italiani le tensioni tra Palazzo Chigi e il Mef e il nodo energia

lunedì, Maggio 29th, 2023

di Federico Fubini

Pnrr, dietro i ritardi italiani le tensioni tra Palazzo Chigi e il Mef e il nodo energia

Ursula von der leyen, presidente della Commissione europea

Se Bruxelles ha fretta di vedere le modifiche dell’Italia al Piano nazionale di ripresa e resilienza, non è solo perché sul successo di Roma Ursula von der Leyen si gioca una piccola parte del proprio futuro. Certo, un po’ forse è anche quello: la presidente della Commissione è fra gli artefici del Recovery e della scelta di concedere all’Italia la quota più ampia dei fondi; se il progetto fallisse nel Paese più emblematico, per qualcuno dei governi da sempre meno entusiasti in proposito non sarebbe certo un argomento per la rielezione di von der Leyen nel 2024. Dietro la fretta di Bruxelles c’è però soprattutto una ragione pratica: i garanti delle risorse del Pnrr sono proprio i governi europei, i quali dovranno necessariamente approvare le proposte del governo di Roma dopo che l’avrà fatto la Commissione stessa; la procedura prenderà mesi e, se si aspetta ancora, c’è il rischio che resti poco tempo per realizzare gli investimenti entro la scadenza del 2026. Le risorse

I tre fattori del ritardo

Intanto però in Italia si stanno facendo sentire tre fattori che portano il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, a procrastinare. Il primo è legato agli equilibri nel governo. Chi conosce bene l’impianto del Pnrr stima che i fondi potenzialmente soggetti a un cambio di destinazione pesino, al massimo, fra il 12% e il 15% dei 191,5 miliardi destinati all’Italia. Dunque fra venti e trenta miliardi al più, il che sarebbe già moltissimo. Ma per individuare gli investimenti da tagliare o da spostare, Fitto si è rivolto a coloro che ne detengono i segreti: le diverse amministrazioni ministeriali che, in teoria, hanno il quadro ciascuna dello stato di attuazione dei propri progetti. Qui è scattato l’istinto di autoconservazione delle burocrazie, perché molti ministeri sono tutt’altro che entusiasti di fare trasparenza. Nessuno ha fretta di rischiare di vedersi privare di fondi, solo perché alcuni cantieri non sono al passo.

Ragioneria dello Stato ai margini

Ha iniziato a farsi sentire a questo punto il secondo fattore di ritardo: il freddo sceso — più che fra i politici — fra gli uffici del ministero dell’Economia e di Palazzo Chigi. Fitto e la premier Giorgia Meloni hanno voluto lo spostamento alla presidenza del Consiglio della gestione del Pnrr e dei fondi europei tradizionali. Vista dal ministero dell’Economia, è stata l’amputazione di poteri di gestione di risorse per quasi trecento miliardi di euro. Questa svolta e le stesse riserve di Fitto hanno messo ai margini la Ragioneria dello Stato, che è parte del ministero dell’Economia. Negli ultimi tempi hanno lasciato il ministero oltre venti addetti al Pnrr, quindi la capacità di controllo finanziario del Piano ne sta soffrendo. È come se, sul Recovery, il principale centro di know how finanziario del governo si fosse messo alla finestra in attesa degli errori altrui: «Se qualcuno vuole le nostre competenze — dice una voce dall’interno — le prende e ci fa ciò che ritiene».

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L’estate dei lavoratori introvabili

domenica, Maggio 28th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. L’ultimo appello l’ha lanciato ieri «Chef Express», azienda leader nel settore della ristorazione, che solo in Italia è presente in 200 tra stazione ferroviarie, aeroporti e aree autostradali: ogni anno questa società del gruppo Cremonini assume circa 2.500 lavoratori stagionali, che si aggiungono ai 7.200 addetti stabili, e per ora ne mancano appello più della metà, circa 1.300.

Tra cuochi, pasticceri, personale di sala, baristi, addetti alla reception degli alberghi e quant’altro, secondo le stime di Confesercenti, quest’anno andranno reperiti almeno 100 mila addetti in più tra bar, ristoranti e alberghi. E più di una impresa su tre (36% secondo un sondaggio commissionato alla Swg) ha difficoltà a reperire personale.

«Tra aprile e agosto – spiega a sua volta il vicedirettore della Fipe Confcommercio, Luciano Sbraga – le imprese dei nostri settori (ristorazione, intrattenimento, stabilimenti balneari) devono assumere circa 170/180 mila persone. Per la metà di esse ci saranno difficoltà di reperimento. Questo non significa che non verranno trovate, ma certo non sarà facile».

Per Sbraga tra i profili più difficili da reperire al primo posto c’è il personale di sala, poi cuochi, barman e a seguire pasticceri/gelatieri. Secondo il presidente della Federazione turismo organizzato di Confcommercio, Franco Gattinoni, «la carenza di personale nel settore turistico, sia nelle figure ad alta che bassa professionalizzazione, rischia di colpire l’incoming proprio nel momento in cui ci fanno sperare in un’estate di grande ripartenza. Mancano ad esempio 7 mila autisti di bus turistici, per la scarsa disponibilità di persone con patente e competenze adeguate. E poi si registra un gravissima penuria di guide turistiche nazionali, visto che non si fanno da troppo tempo esami di abilitazione, in attesa da 10 anni di nuove norme».

Quest’anno è atteso un vero e proprio boom del turismo con un numero di presenze che secondo delle previsioni dovrebbe superare il livello pre-Covid oltre quota 500 milioni. Secondo Confcommercio, per questa ragione, il settore dei servizi avrebbe bisogno di assumere 280 mila nuovi lavoratori. Le stime ufficiali elaborate da Unioncamere e Anpal parlano di 107 mila domande di lavoro solo nel mese di maggio da parte delle imprese del turismo e 398 mila entro luglio, ovvero 10.840 in più dell’anno passato. Limitandosi alle sole professioni qualificate tra esercenti e addetti alle attività di ristorazione servirebbero 83.030 entrate, ma per metà (49,8%) queste figure risultano di difficile reperimento.

A frenare il lavoro nel settore del turismo, segnala Confesercenti, in base al campione sondato da Swg ci sono innanzitutto la mancanza di candidati con adeguata preparazione (46%) e la carenza di candidati (28%). Un altro 19% delle imprese che lamentano difficoltà di reperimento del personale lo spiegano col fatto che i candidati selezionati non hanno giudicato soddisfacente l’accordo economico che veniva loro proposto.

L’offerta limitata di lavoratori viene spiegata col fatto che la stagionalità viene vista come un fattore di precarietà (61% delle risposte). Ma, soprattutto sui giovani, pesa l’impegno nei giorni festivi e prefestivi (60%) e l’idea che nel commercio e nel turismo ci sia poca possibilità di crescita professionale ed economica (55%).

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La grande frenata dell’economia italiana

domenica, Maggio 28th, 2023

Fabrizio Goria

Sono sempre di più le nubi che si addensano sull’economia italiana. Dopo i moniti di Commissione Ue, Banca d’Italia e Fondo monetario internazionale ora è Confindustria a rimarcare come l’attività domestica stia crescendo a ritmi più moderati nel secondo trimestre. A trainare sono i servizi, mentre l’industria fatica. A preoccupare è l’inflazione, più persistente del previsto, e le possibili conseguenze delle strette monetarie della Banca centrale europea (Bce). In aumento, secondo le stime preliminari di Eurostat visionate da La Stampa, sono i fallimenti. Il trend iniziato nel finale del 2022 e proseguito nel primo trimestre 2023, bancarotte a +2,6% su base annua, continuerà ancora. E potrebbe deprimere l’espansione del Pil italiano.

Non è una bocciatura, ma una presa di coscienza. Il centro studi di Confindustria, nel suo rapporto periodico, evidenzia quanto sia chiaroscurale la situazione. I servizi stanno trainando il Pil italiano, mentre è meno solida la condizione di manifattura e costruzioni. Allo stesso tempo, i tassi d’interesse continuano a salire e i prestiti a calare. Dai consumi arrivano segnali misti, mentre gli investimenti crescono anche se poco. Nello specifico, dice Confindustria, «i servizi trainano la crescita, con il turismo in Italia nel 1° trimestre che è salito al di sopra dei livelli del 2022 (+30,7% la spesa dei viaggiatori stranieri), portandosi intorno a quelli del 2019». In aprile il Pmi dei servizi è salito «ancora di più, indicando forte crescita (57,6 da 55,7), anche se a maggio la fiducia delle imprese ha subito un calo». Il settore, si rimarca, «beneficia ancora della domanda repressa delle famiglie liberata dalle riaperture post-Covid». Sul fronte dell’industria, «la produzione è diminuita ancora a marzo (-0,6%), terzo calo consecutivo, ma chiude il 1° trimestre solo di poco negativa (-0,1%) grazie alla buona eredità di dicembre». Lo scenario è però «in peggioramento». A maggio, viene spiegato, «la fiducia delle imprese è di nuovo calata: meno ordini, più basse attese sulla produzione». Non solo. La domanda estera «non tira più». L’export italiano di beni «si è fermato, in media, nel 1° trimestre 2023». E non è una bella notizia, in quanto quest’ultimo è stato uno dei settori che più ha favorito le buone performance dello scorso anno.

La congiuntura non è positiva. Specie se si valutano altri aspetti. Come i fallimenti in arrivo. Secondo Eurostat, dopo l’incremento del 26,8% negli ultimi tre mesi del 2022 rispetto al trimestre precedente, anche nella prima parte dell’anno in corso c’è stato un aumento. E un ulteriore girandola è continuata nel periodo corrente. Il picco, teme la banca tedesca Deutsche Bank, non sembra vedersi ancora. Ma è chiaro che i rialzi dei tassi da parte della Bce, che proseguiranno per buona parte dell’estate, complicano la vita a imprese e famiglie. Le seconde spendono meno, le prime vanno in crisi di liquidità e devono portare i libri in tribunale. Per ora, evidenzia Eurostat, il fenomeno in Italia è ancora non marcato, per merito della grande liquidità delle società, ma il vento potrebbe cambiare in fretta.

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«L’Irpef è una tassa iniqua». Ecco come dovrebbe essere riformata

domenica, Maggio 28th, 2023

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

L’Irpef necessita di una revisione generale per renderla un’imposta non solo più “semplice” ma anche rispettosa della progressività. Ne è convinto il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che durante l’audizione del 17 maggio in Commissione finanze alla Camera sulla delega per la riforma fiscale ha spiegato che il principio dell’universalità dell’Irpef risulta oggi «minato dalla previsione di specifiche esenzioni e dal ricorso all’imposizione sostitutiva per distinte tipologie di reddito che provocano una distorsione del sistema, per cui a parità di reddito individuale l’imposizione fiscale può non essere la stessa».

Irpef minata da inefficienza e iniquità

Il problema deriva anche dal fatto che l’Irpef nel tempo è stata oggetto di numerosi interventi, ha spiegato Ruffini, che «hanno reso l’imposta molto articolata dal punto di vista tecnico, oltre che caratterizzata da diverse criticità per quanto riguarda efficienza ed equità della tassazione». L’attuale sistema fiscale distingue il pagamento dell’Irpef sulla base della ritenuta alla fonte e della dichiarazione annuale. Dunque, il perimetro della riforma tributaria si restringe ai contribuenti che non pagano le imposte con la ritenuta alla fonte. Nel corso del 2022 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica sono state pari a 544.528 milioni di euro, con un incremento di 48.484 milioni di euro rispetto al 2021 (+9,8%).Quelle derivanti dall’Irpef 269.078 miliardi di euro. Le imposte sono versate per l’81,9% da dipendenti e pensionati, ovvero il 14,5% dei contribuenti che pagano l’Irpef in base alla dichiarazione (l’evasione fiscale è stimata in più di 100 miliardi di euro). Il problema è che lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati hanno specifiche detrazioni d’imposta, cosa che rende la loro posizione fiscale diversa a parità di reddito.

Verso i 50 mila euro le differenze si riducono

Inoltre, come spiegava poco tempo fa al Corriere la Fondazione Nazionale Commercialisti, la struttura Irpef a quattro aliquote in vigore per l’anno di imposta 2023 prevede una No Tax Area (NTA) differente per le tre principali tipologie di reddito. In particolare, per il reddito da lavoro dipendente, la NTA è pari a 8.174 euro, per il reddito da pensione è pari a 8.500 euro, mentre per il reddito da lavoro autonomo è pari a 5.500 euro. Il reddito da lavoro dipendente beneficia anche del trattamento integrativo di 1.200 euro annui fino a 15.000 euro di reddito imponibile (si tratta dell’ex Bonus Renzi da 80 euro, diventato poi strutturale a 100 euro mensili). Man mano che il reddito imponibile sale e si avvicina a 50 mila euro, le differenze tra le detrazioni tendono a ridursi per azzerarsi, infine, per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di un imponibile pari a 50 mila euro. Ciò vuol dire che l’Irpef netta è uguale per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di questa soglia di imponibile. Le differenze tra le detrazioni sono invece molto significative nella parte bassa della curva reddituale.

Pensionati e autonomi più poveri sono i più tartassati

Insomma, i pensionati e gli autonomi più poveri sono anche i più tartassati. Le differenze tra le detrazioni, unite al trattamento integrativo di 1.200 euro spettante ai redditi da lavoro dipendente fino a 15 mila euro, determinano differenze significative nell’Irpef netta (vedi qui la tabella). In particolare, in corrispondenza di 15 mila euro di reddito imponibile, il reddito da pensione ha un’Irpef netta di 1.543 euro superiore al reddito da lavoro dipendente, differenza che sale a 2.088 euro per il reddito da lavoro autonomo (va detto che, nel caso di un reddito di soli 10 mila euro da lavoro dipendente, l’imposta diventa negativa perché ampiamente compensata dall’ex Bonus Renzi da 1.200 euro annui). Queste differenze si riducono all’aumentare del reddito imponibile.

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Pnrr, l’ipotesi di congelare «solo» 300-400 milioni sui 19 miliardi della terza rata

domenica, Maggio 28th, 2023

di Federico Fubini

Pnrr, l'ipotesi di congelare «solo» 300-400 milioni sui 19 miliardi della terza rata

Non si può dire che sul Piano nazionale di ripresa e resilienza regni una fiducia incondizionata nel rapporto fra Roma e Bruxelles. Negli ultimi mesi nella Commissione europea è cresciuta l’insofferenza perché dall’Italia sono arrivati ripetuti annunci sulla revisione dei progetti, ma pochi dettagli. Intanto a Palazzo Chigi si è formata l’impressione che da Bruxelles si assumano atteggiamenti capziosi, fino a bloccare l’erogazione da 19 miliardi di euro (richiesta già in gennaio) accampando all’improvviso problemi burocratici mai sollevati prima. Un fondo di irritazione e di sospetti, da entrambe le parti, rimane.

Ma per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi — si inizia a intravedere un percorso
. Per accelerare l’erogazione, sia a Bruxelles che a Roma si stanno prendendo le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». Nel caso della terza rata da 19 miliardi, questa clausola implicherebbe il versamento da Bruxelles di quasi tutta la somma prevista ad eccezione di 300 o 400 milioni. Per la quarta rata da 16 miliardi, legata a 27 obiettivi che l’Italia in teoria dovrebbe raggiungere entro giugno, la quota di pagamenti congelati potrebbe invece essere più alta.

La procedura legale

Sul piano legale, non si tratterebbe di una mossa arbitraria. A febbraio scorso la Commissione ha approvato una «comunicazione» (vincolante) che indica cosa fare se un Paese chiede l’erogazione di una rata del Recovery senza aver raggiunto tutti gli obiettivi di investimento e di riforme legati ad essa. Bruxelles può defalcare una somma calcolata in base al peso degli obiettivi che mancano; a quel punto il governo in questione ha un mese per contestare il congelamento dei fondi e poi, se la sua obiezione viene respinta, sei mesi per mettersi in linea. Nel caso che il ritardo rimanga però anche dopo sei mesi, la quota di pagamento già bloccata viene «sospesa in permanenza e dedotta». In sostanza, il Paese perde una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale serve a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo.

Un segnale politico

Ma quali che siano le procedure, non sfugge a nessuno a Bruxelles che la scelta di congelare una piccola quota dei fondi sarebbe letta in Italia come un segnale politico. L’erogazione della terza rata avverrebbe quasi per intero, in modo da non aprire una crisi sul Pnrr e da preservare la liquidità su cui il Tesoro a Roma conta molto. Ma la sospensione di 300 o 400 milioni lascerebbe capire che la Commissione si aspetta dall’Italia più collaborazione e più trasparenza — anche preliminare e informale — in vista di una revisione del Piano. Non basta infatti che il governo inserisca altri progetti motivandoli con i ritardi di quelli che usciranno dal Pnrr: l’Italia deve dimostrare anche che i nuovi piani sono più adatti dei vecchi ad accelerare la transizione verde, digitale o gli altri obiettivi del Piano.

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Fmi boccia le promesse di Meloni: “La flat tax è irrealizzabile. E sulle pensioni serve una stretta”

sabato, Maggio 27th, 2023

Fabrizio Goria

Ancora una bocciatura per il governo Meloni. A questo giro è il Fondo monetario internazionale (Fmi) a criticare: nel suo rapporto periodico rimarca che la crescita 2023 sarà sopra le attese, con il Pil a +1,1%, ma che l’inflazione resterà oltre il 2% almeno fino al 2026. Dalla riforma del Fisco al Recovery, passando per il sistema pensionistico e i conti pubblici, sono svariate le fonti di preoccupazione per l’istituzione di Washington. Che chiede più proattività, puntualità ed efficacia all’esecutivo. Il rischio, in un clima di tassi d’interesse crescenti, è quello di trovarsi nelle sabbie mobili. E l’invito è quello di non ricorrere a scorciatoie: «Una tassa sugli extraprofitti delle banche potrebbe avere conseguenze indesiderate». Risponde a distanza il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti: «Stiamo riducendo il debito, come chiesto dagli ispettori del Fmi».

Più ombre che luci. Vero, il Pil italiano ha rimbalzato più delle stime preliminari, ma le criticità restano elevate, secondo il Fmi. «L’attività economica e l’occupazione sono cresciute fortemente nel 2022 grazie all’abile gestione delle forniture di gas da parte delle autorità e al sostegno del welfare fornito in risposta allo choc dei prezzi dell’energia», si sottolinea. Roma crescerà dell’1,1% nel 2023 e nel 2024 per poi accelerare nel 2025, anche grazie al Pnrr, la cui spesa raggiungerà il picco quell’anno. Ma l’attuazione del Recovery dovrà essere «accelerata». Specie a fronte di rincari più poderosi di quanto ipotizzato. L’inflazione di fondo in Italia è destinata a ridursi «gradualmente» ma l’andamento del costo della vita tornerà «all’obiettivo del 2% solo intorno al 2026». Come se non bastasse, pur rimanendo elevato, viene rimarcato, «il rapporto debito pubblico/Pil è diminuito e i prestiti in sofferenza sono rimasti bassi». Tuttavia, a partire dal 2023, «la crescita passerà a una marcia inferiore, mentre l’inflazione core dovrebbe rimanere vischiosa e gli alti tassi di interesse manterranno elevati i rischi del settore finanziario».

Non sono mancate anche ulteriori critiche. «La politica fiscale può aiutare l’economia ad affrontare gli shock proteggendo la sostenibilità delle finanze pubbliche», dicono gli analisti. Dato il debito pubblico ancora elevato, inoltre, «le condizioni di finanziamento più restrittive e la necessità di sostenere la disinflazione, si consiglia di risparmiare opportunisticamente la maggior parte delle entrate impreviste derivanti da sorprese inflazionistiche e modifiche contabili del credito d’imposta». In un contesto del genere, «un piano credibile di riduzione del debito a medio termine attenuerebbe ulteriormente i rischi».

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Avvocati giù, informatici su; l’AI mette a rischio 300 milioni di posti di lavoro

venerdì, Maggio 26th, 2023

di Filippo Santelli

La vera questione non è “se”. Né “quando”. Sta già succedendo: l’intelligenza artificiale è entrata in ufficio e lavora in mezzo a noi. A volte insieme agli uomini, un moltiplicatore di produttività. A volte — c’è chi teme sempre di più — al loro posto. «Fra qualche tempo diremo che il 2023 è stato l’inizio della quarta rivoluzione industriale», è sicuro Massimo Ruffolo, ricercatore del Cnr e fondatore di Altilia, azienda che sviluppa algoritmi per automatizzare l’analisi dei documenti. Per esempio le centinaia di fogli con cui le banche valutano i crediti difficili: in un paio d’ore l’AI spreme informazioni su cui un bancario Sapiens sapiens faticherebbe giorni. Ma oltre che estrarre, l’AI ragiona sempre meglio. E ChatGPT ha rivelato che adesso sa pure generare parole e immagini. Il mestiere di impiegati e professionisti, programmatori e illustratori. «È uno strumento che libera il tempo e la creatività delle persone, ma certo, per fare le stesse operazioni ci vorrà meno forza lavoro», dice Ruffolo. Anche le prime multinazionali hanno iniziato ad ammetterlo: entro il 2030 British Telecom sostituirà 10 mila dipendenti con l’AI; Ibm ne rimpiazzerà 7.800.

“Nelle scuole meno latino e più ChatGpt, o nessun ragazzo troverà lavoro”

di Filippo Santelli 26 Maggio 2023

300 milioni di posti di lavoro a rischio

È iniziata quindi. E se davvero l’AI si confermerà una tecnologia generale, come la macchina a vapore o il Pc, la trasformazione del lavoro non potrà che accelerare. Sono arrivate le prime stime, con tutti i caveat del caso. La banca d’affari Goldman Sachs prevede che l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a livello globale sarà esposto all’automazione. Mentre OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGPT, dice che due lavoratori su dieci vedranno rivoluzionata almeno metà dei loro compiti.

La vera questione, allora, è “come”. E il primo dato è che l’automazione si sposta dalle fabbriche agli uffici, dalle tute blu ai colletti bianchi. Entriamo in un call center, uno dei settori dove i chatbot — i programmi in grado di chiacchierare — sono arrivati prima. «Con ChatGPT c’è stato un salto pazzesco, ancora tutto da scoprire, il nostro problema semmai è che tende a dialogare troppo», dice Gianluca Ferranti, capo dell’innovazione globale di Covisian, colosso del settore. Racconta le due facce dell’AI: da un lato supporto al lavoro umano, come quella che suggerisce in tempo reale all’operatore l’impatto di un’azione; dall’altra sostituzione, come l’assistente virtuale nell’e-commerce di una multinazionale del caffè: «C’è sempre la possibilità di rivolgersi a un essere umano, ma con la nuova tecnologia l’interazione viene automatizzata il 10-15% di volte in più». Significa che lì servono meno persone, che Covisian sposta su attività diverse, altre aziende chissà.

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Pnrr, il governo userà tutti i fondi e non arretra: ecco la nuova riformulazione

giovedì, Maggio 25th, 2023

Il governo italiano tranquillizza i bollenti spiriti dell’Ue sul Pnnr. “Stiamo lavorando con serietà per utilizzare tutte le risorse del Pnrr. Ci siamo impegnati a comunicare alla Commissione Ue le variazioni per la riprogrammazione dei fondi entro l’inizio dell’estate” l’annuncio di Paolo Zangrillo in un’intervista su La Stampa.  Il ministro della Pubblica amministrazione si è anche espresso sul pacchetto di aiuti varato dal governo per le zone colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna e un eventuale impiego delle risorse del Pnrr per opere di consolidamento e prevenzione dei fenomeni meteorologici estremi: “Adesso abbiamo messo in gioco due miliardi che costituiscono una prima risposta concreta. Poi bisognerà pensare alla ricostruzione, tutti i colleghi che in questi giorni hanno visitato quelle terre hanno tratto la sensazione di straordinaria compostezza e grandissima determinazione della popolazione. Quanto al Pnrr, io penso che non possa essere destinato alla ricostruzione, il piano per sua natura prescinde da eventi straordinari. Le risorse vanno trovate altrove”.

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Dombrovskis: «Una proroga sul Pnrr? Improbabile. L’Italia può ancora farcela»

giovedì, Maggio 25th, 2023

di Francesca Basso

Dombrovskis: «Una proroga sul Pnrr? Improbabile. L'Italia può ancora farcela»

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BRUXELLES — «Vediamo alcuni rischi in alcuni Stati membri ed è per questo che chiediamo di accelerare l’attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza». Parla il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis a un gruppo ristretto di meda europei, tra cui il Corriere della Sera, nel giorno in cui la Commissione Ue ha presentato le Raccomandazioni specifiche per Paese, che gli Stati membri dovranno tenere presente quando prepareranno le leggi di bilancio per il 2024. «È importante impegnarsi e assicurarsi che i Pnrr siano attuati correttamente — prosegue Dombrovskis — perché c’è la scadenza della fine del 2026. E direi che è molto improbabile che questa scadenza venga prorogata, perché richiederà una decisione unanime degli Stati membri che coinvolgerà nella maggior parte dei casi, in quasi tutti i casi, una procedura parlamentare. Quindi è qualcosa che sarebbe molto difficile. Pertanto, il nostro messaggio agli Stati membri è di concentrarsi sull’attuazione dei piani e non su una sorta di estensione delle scadenze».

Quanto vi preoccupano i ritardi dell’Italia nell’attuazione del Pnrr? Cosa frena il pagamento della terza tranche?
«L’Italia ha già ricevuto due pagamenti e stiamo verificando la richiesta della terza tranche. È importante che l’attuazione continui e che non ci siano ritardi. Nelle nostre raccomandazioni spieghiamo che è importante rafforzare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, per consentire un’attuazione continua, rapida e costante del Pnrr. È importante per l’Italia presentarci il piano rivisto con il capitolo RePowerEu per assicurarne l’attuazione, senza abbassare l’ambizione complessiva del piano e senza rallentarne l’attuazione».

L’Ue come può aiutare l’Italia nell’affrontare l’emergenza in Emilia-Romagna?
«L’Ue sostiene l’Italia nel fronteggiare questo disastro naturale.Il meccanismo europeo di protezione civile è già stato attivato e diversi Paesi stanno offrendo il loro sostegno sul campo. Inoltre il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze è in costante contatto con le autorità italiane. Dal punto di vista del sostegno finanziario, abbiamo un’area dedicata ai soccorsi post-catastrofe: c’è il Fondo europeo di solidarietà che può fornire sostegno all’Italia se ne fa richiesta e ci sono ingenti fondi disponibili per l’adattamento dei Paesi al cambiamento climatico e per la riduzione dei rischi geologici nell’ambito della politica di coesione e del Pnrr». Le risorse

Come può l’Italia limitare la spesa primaria netta e al contempo fare gli investimenti necessari per la transizione verde e digitale?
«La nostra raccomandazione fiscale per l’Italia è un miglioramento del saldo strutturale dello 0,7% del Pil, che si traduce in un aumento della spesa primaria nazionale dell’1,3%. Quindi, come limitare questo aumento? La prima cosa che raccomandiamo, analogamente ad altri Paesi, è di ridurre le misure di sostegno all’energia e di utilizzare i relativi risparmi per ridurre il deficit pubblico. Un altro punto importante per gli investimenti è garantire una rapida attuazione del Pnrr. L’Italia è il più grande beneficiario in termini assoluti della Recovery and Resilience Facility (lo strumento principale di Next Generation Eu che alimenta i Pnrr, ndr) , sono disponibili ingenti somme di denaro e l’Italia ha indicato anche l’interesse a ricevere ulteriori prestiti da questo strumento. Ma è importante che i progetti di investimento siano attuati in modo sicuro e con zelo: una forte attenzione all’attuazione del piano aiuterà con la transizione verde e digitale».

Vi preoccupa il progetto di autonomia regionale dell’Italia? C’è un passaggio nelle raccomandazioni.
«Non ci intromettiamo nelle questioni costituzionali degli Stati membri, che devono essere discusse e decise dagli Stati membri. Non è una questione che riguarda la Commissione quando discutiamo, ad esempio, dell’attuazione del piano di recupero e resilienza. In effetti, abbiamo sottolineato la necessità di garantire un’adeguata capacità amministrativa, inclusa nelle Regioni».

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A Roma l’esercito dei tassisti evasori. Pos disattivati, tassametri spenti e assalti ai turisti “con il cash”: tutti i trucchi dei conducenti

mercoledì, Maggio 24th, 2023

di Riccardo Caponetti

I tassisti con partita Iva dichiarano solo una piccolissima parte del loro vero incasso. Un fenomeno esteso in tutta Italia, ma soprattutto a Roma, dove in media – secondo dati governativi diffusi ieri sera da Le Iene – nel 2021 hanno guadagnato 6.240 euro lordi all’anno: ovvero 520 euro al mese, comprese le tasse. La metà di Milano (11.411) e Napoli (19.890), molto meno dei colleghi di Bologna (9.642). Meglio solo di quelli di Firenze (5.238).

A Roma, la città più visitata e grande d’Italia, i tassisti lavorano meno. Più che stipendi, hanno rimborsi spese. C’era il Covid, direte voi. Ed è giusto. Ma come hanno evidenziato Le Iene, anche prima della pandemia i conti non tornavano: nel 2019 un tassista con partita Iva dichiarava in media 12 mila e 817 euro annui, nel 2018 invece 13 mila.

Perché allora, se gli stipendi sono questi, le licenze dei taxi costano più o meno 140 mila euro? E quanto pagano davvero di tasse i tassisti? Con questo doppio interrogativo si è aperto il servizio di ieri sera che racconta, al contrario, una realtà diversa. Al centro c’è sempre lui, il Pos, che rende tracciabili tutti i pagamenti ricevuti. Dunque se per 30 giorni al mese si effettuano transazioni con la carta di credito, mentire allo Stato è impossibile. Ma se si evita di usare, a quel punto diventa facile dribblare le tasse. A confessarlo sono gli stessi conducenti intercettati da Le Iene.

“Pensa che sto mese a dicembre arriverò a guadagnare sui 9 mila euro, ma ho sempre una busta paga di 1.500”, esordisce un tassista. “A Roma io in 42 anni non ho mai avuto accertamenti da parte dell’Agenzia delle entrate. Io dichiaro sempre una busta paga di 1.500-1.300 euro. Poi – dice un altro collega – tutti gli altri soldi che hai incassato sono tuoi, non te li tocca nessuno i contanti. Non si tracciano, capito?”.

La strategia è chiara. “Bisogna tenere un conto mentale o scritto, fai come ti pare, ma devi arrivare a incassare con il Pos massimo sugli 800-1000 euro al mese”, spiega un terzo tassista. Altro che stipendi da fame o rimborsi spese, l’attività può essere molto redditizia. “Adesso ho fatto una corsetta di 8 euro e me li ha dati in contanti, 200 euro al giorno li faccio. C’è gente che si compra casa così eh”, puntualizza un’altra persona.

Per questo ha destato scalpore la decisione di un tassista di Bologna, Redsox (Roberto Mantovani), di pubblicare su Twitter ogni giorno i suoi guadagni. Corsa dopo corsa, massima trasparenza. In totale in due settimane, con 3 giornate di riposo, i suoi incassi trasparenti ammonterebbero già a 5.638 euro: ovvero la metà di quanto in media i suoi colleghi con partita Iva hanno dichiarato per tutto il 2021.

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