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Juventus, perché le hanno tolto 15 punti: la sentenza e le intercettazioni. «Plusvalenze peggio di Calciopoli»

sabato, Gennaio 21st, 2023

di Massimiliano Nerozzi

Il paragone fatto al telefono dal direttore finanziario Bertola con il ds Cherubini, che nel «libro nero di Fabio Paratici ha scritto «utilizzo eccessivo di plusvalenze artificiali». Paratici al telefono: «Non capisci un c…, tanto come facciamo da 4 facciamo da 10, non è un problema»

Juventus, perché le hanno tolto 15 punti: la sentenza e le intercettazioni. «Plusvalenze peggio di Calciopoli»

Sembrava la sparata di chi è capitato dentro un’inchiesta da film: «Qui rischia di essere peggio di Calciopoli», si lasciò scappare un investigatore dopo le prime perquisizioni nella sede della Juve, a indagini avviate ormai da mesi. Del resto, aveva già ascoltato l’intercettazione ambientale della Guardia di Finanza numero 446/2021, in cui il direttore finanziario Stefano Bertola parlava con il ds Federico Cherubini: «La situazione è davvero complicata, io in 15 anni faccio un solo paragone: Calciopoli». E ora, la sentenza della corte d’Appello federale squassa il club e chi ci ha lavorato e vinto, per anni, e che adesso è stato squalificato (seppure non in via definitiva): «È una follia, ma ormai era chiaro. Abbiamo vinto troppo, siamo stati troppo bravi», si sfoga con un amico un ex dirigente juventino. «Dovevano trovare il modo di farcela pagare». Difficile mantenere la calma: «Bisogna avere fiducia nella giustizia, ma con questo clima è davvero difficile».

Come cambia la classifica di serie A

Tutto parte dall’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello sui conti del club, e dai faldoni di documenti finanziari, mail, intercettazioni, inviati alla Procura della Federcalcio dopo la chiusura delle indagini penali. Va da sé, chi conosceva le carte torinesi aveva ben intuito il rischio, per la società, a livello sportivo. Da un altro dialogo tra Cherubini e Bertola, salta fuori una frase attribuita all’ex ds Fabio Paratici, sulle plusvalenze: «Non capisci un cazzo, tanto come facciamo da 4 facciamo da 10, non è un problema». Più che un’imprecazione, un manifesto, per l’ipotesi d’accusa. Ancora Bertola, in altra conversazione: «Sì, sì, gestione malsana delle plusvalenze eh!». Per non parlare del «Libro nero di FP», ovvero Fabio Paratici, un foglio ritrovato nell’ufficio di Cherubini: «Utilizzo eccessivo plusvalenze artificiali». Lo stesso Cherubini racconterà ai pm, come persona informata sui fatti: «Le plusvalenze finte ritengo che siano quelle maturate nell’ambito di operazioni a scambio, fatte su ragazzi giovani per i quali la determinazione di un valore crea problematiche». E ancora: «Io più volte mi sono lamentato con Fabio che il valore che stavamo dando a quei giocatori non erano congrui».

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La «carta di Ronaldo» che inguaia la Juve

giovedì, Gennaio 19th, 2023

di  Simona Lorenzetti

Ecco il documento «che non deve esistere». È firmato esclusivamente dall’ex ds Paratici: per i pm, garantiva a CR7 gli arretrati (non a bilancio)

La «carta di Ronaldo» che inguaia la Juve

«Egregio Signor Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro» si legge nell’intestazione. Poi, a seguire, c’è l’oggetto della comunicazione: «Accordo Premio Integrativo — Scrittura integrativa». Infine, si entra nel merito: «Facciamo seguito alle intese intercorse e uniamo alla presente il documento relativo al premio integrativo riconosciuto a suo favore (Accordo Premio Integrativo) e l’ulteriore scrittura integrativa dell’Accordo Premio Integrativo (“Scrittura integrativa”)». Ecco le prime righe della «famosa carta di Ronaldo», quella che «teoricamente non deve esistere» ed è evocata in un’intercettazione tra il capo dell’ufficio legale Cesare Gabasio e il ds Federico Cherubini. La guardia di finanza l’ha trovata nello studio dell’avvocato Federico Restano (a Torino) il 23 marzo 2022, nel corso della seconda perquisizione disposta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai sostituti Mario Bendoni e Ciro Santoriello. 

La «carta di Ronaldo» che inguaia la Juve

Il documento è firmato da Fabio Paratici, l’ex ds della Juve indagato con i vertici societari (tra cui l’ex presidente Agnelli e il suo vice Nedved) nell’ambito dell’inchiesta sui bilanci del club. La «carta» è per i magistrati la «side letter» che deriva dalla seconda manovra stipendi relativa alla stagione 2020/2021: la presunta rinuncia fittizia delle mensilità da parte di alcuni giocatori. Si legge ancora: «Nel confermare gli impegni assunti nei predetti documenti, ci impegniamo altresì a consegnarvi entro il 31.07.2021 l’Accordo Premio Integrativo ritrascritto sui moduli federali “Altre Scritture” a oggi non disponibili, e la Scrittura integrativa debitamente sottoscritta». Il documento, con i relativi allegati, non è mai stato depositato in Lega e fa riferimento a un debito residuo che la società aveva maturato con il portoghese prima del suo trasferimento al Manchester: una parte sarebbe stata pagata, resterebbero ancora 19,6 milioni. In un allegato vengono dettagliate cifre, scadenze e «condizioni» alla base del pagamento, cioè la permanenza alla Juve. 

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Ciao campione, ci hai fatto battere il cuore

sabato, Gennaio 7th, 2023

Gigi Garanzini

Scrisse una volta il sommo Brera che i campioni meriterebbero di morire giovani, nel pieno della loro gloria, ed essere trasportati in Olimpo su un carro di fuoco. Per uno sberleffo del destino toccò proprio a lui quella sorte, già in età surmatura. Da allora il paradosso breriano è un tormento in più che si somma al dolore quando uno dei grandi se ne va.

Perché nella rétina come nella mente è sul campo che torniamo a riviverli, ai tempi in cui ci facevano battere il cuore. Quando Vialli la insaccava sotto la sud di Marassi, e se non erano svelti ad abbracciarlo lui partiva con le capriole e c’era rischio che esondasse il Bisagno là fuori. Quello scudetto impossibile, firmato da un grande presidente, Mantovani, dalla saggezza dello zio Vujadin, da una signora squadra le cui punte di diamante si chiamavano Mancini e Vialli. Il cui abbraccio di un anno e qualcosa fa sul prato di Wembley, dove avevano perso al fotofinish una finale di Coppa Campioni e appena consumato la rivincita firmando l’Europeo, rimane un’immagine indelebile e struggente. Oggi poi insopportabile. Perché tutti e due sapevano, non solo Gianluca, che il destino restava in agguato.

Adesso che ha fatto il suo corso, il primo sforzo da compiere è proprio quello. Rimuovere il ricordo più recente della lunga sofferenza e ripercorrere il cammino del vero Vialli. Quello partito da Cremona, e da lì a proposito di Brera lo strepitoso ri-battesimo, Stradivialli, e atterrato da capitano bianconero sull’ultima Champions della Juve, 1996. Con un’appendice di grande prestigio al Chelsea, in campo e in panchina, sino alla definitiva scelta di vita londinese. Il carattere non gli mancava di sicuro. Dentro e fuori il rettangolo. Il primo, e più significativo esempio, è che si diceva e si dice essere la fame il vero propellente di un calciatore, di un’atleta. Di famiglia agiata, Vialli la fame non l’ha mai nemmeno immaginata. Ma non è facile trovarne un altro che in campo si sia sempre speso come si spendeva lui. Che trascinasse, anziché farsi servire: che ci mettesse sempre il massimo della quantità anche nelle rare giornate in cui la qualità non era la solita. Un centravanti a tutto campo, ala destra in origine come già era accaduto a Paolo Rossi, dotato in egual misura di agilità e di potenza. Con il gusto, a volte il vezzo anche dell’acrobazia. Era stato Vicini, a sua volta ex-doriano, il primo ad accentrarlo nell’Under 21: figurarsi se Boskov, che con Azeglio aveva giocato, si lasciava sfuggire l’intuizione.

In quella seconda metà degli Ottanta la Samp faceva collezione di Coppe Italia. Grasso che colava, come no, ma quelli nel frattempo di erano messi in testa l’idea meravigliosa. Così quando Berlusconi mise sul piatto un’offerta delle sue, Mantovani chiamò a sé Vialli, Mancini e Vierchowod e chiese loro se se la sentivano di restare e provarci, con opportuni rinforzi. Vialli col Milan una mezza parola l’aveva spesa. La girò sul versante Fininvest, e me lo ritrovai in un programma settimanale. Che bel tipo. E quanto calcio ho imparato, troppo tardi ahimè, in sala di montaggio. Rallenta, torna indietro. Come fa a non essere rigore, se il piede davanti è quello dell’attaccante? Sai che mazzo mi faccio io a smarcarmi di qua e di là sempre con l’idea fissa di metterci il piede per primo? Anni ’80, per l’appunto: oggi toccherebbe rifare l’audio perché smarcarsi è diventato attaccare lo spazio.

Il meglio di sé televisivo lo dava con Fazio, blucerchiato nel midollo, quando una volta l’anno andava da lui con Mancini. Ma è stato poi un’opinionista di spessore vero negli anni di Sky, la cui costola italiana aveva contribuito a creare per via dell’amicizia con Murdoch.

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Totti e il gioco d’azzardo. L’amico fa catenaccio: “I soldi? Solo un prestito”

venerdì, Gennaio 6th, 2023

Stefano Vladovich

Una fortuna sfacciata e una passione sfrenata per il gioco. «Francesco vince a tutto, a Natale straccia i parenti pure a tresette». I milioni di euro girati su decine di conti e che hanno allertato il pool antiriciclaggio di Bankitalia? A spiegare l’affaire ci pensa l’amico fraterno di Totti, quel D.M. agente di polizia che appare sulle carte che gli 007 della Banca d’Italia hanno trasmesso alla Guardia di Finanza per indagare su «attività sospette» e che, assieme a sua moglie, avrebbe dato risposte evasive agli esperti finanziari.

«Gli 80mila euro? Un prestito», racconta a La Verità il dipendente del ministero degli Interni. «Si, non lo nascondo e non mi vergogno a dirlo: gli abbiamo chiesto 160mila euro con la promessa di restituirli a rate». Denaro che, a detta dell’amico, sarebbe rimasto sui conti personali di marito e moglie. «Non abbiamo speso un solo centesimo». Ma allora perché farli transitare solo poche ore sul conto che la suocera, un’anziana di Anzio, ha assieme alla figlia, dipendente di una società già legata al Coni?

«Mia suocera ha 85 anni – spiega ancora D.M. -. Li ho fatti versare a lei perché a me aveva fatto già un bonifico. Poi li ho fatti togliere da lì perché la madre di mia moglie ha anche altri parenti. E se me more diventano tutti eredi. Io campo coi soldi dei miei suoceri che stanno in casa con noi. Con quei tremila euro faccio la spesa, ci pago le bollette. Per questo dico che i soldi di Totti stanno ancora tutti là».

E le scommesse? «Anche quelle le pago coi soldi dei miei suoceri. Quando prendo le loro pensioni mi gioco 300, 500 euro per prenderne tre, quattromila. La passione ce l’ho anch’io, ma sono scommesse regolari. Francesco quando va a Monte Carlo manco li guarda seimila euro. Detto fra noi, spero tanto che i soldi che mi ha dato non me li chieda indietro». Il Pupone, del resto, è conosciuto per la sua generosità. A Porta Metronia, il quartiere romano dov’è nato e cresciuto, lo ricordano in tanti per questa.

«Ha sempre aiutato gli amici in difficoltà. Senza farsi pubblicità. Purtroppo per lui, i suoi vecchi amici so’ scannati, senza un soldo. Tutta gente umile e lui è molto generoso». Un’ambulanza veterinaria, l’unica in circolazione, donata a un canile comunale dal numero 10 della As Roma, tanto per dirne una, assieme a Ilary. Centomila euro donati per le cure necessarie a una bambina, per raccontarne un’altra. «Francesco, in questi anni, sarà andato sotto di almeno tre milioni di euro. Tutti soldi che non ha mai chiesto indietro. C’ha la passione per il gioco, mbè? Se si gioca qualche cosetta, saranno pure affari suoi, no?».

Al setaccio i conti correnti del poliziotto e della moglie, alimentati «da bonifici domestici provenienti da società operanti nel settore delle scommesse online». Quindici movimenti per un totale di 87mila euro, più assegni per 445mila euro. Tanti soldi, troppi, per due impiegati ministeriali. «A Monte Carlo ci siamo stati, parecchie volte – chiarisce D.M. -. Ci sarò andato dieci volte, ma lui so’ da 24 anni che va là. Se vai a Monte Carlo è pieno di giocatori. Ce va mezza Roma».

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Gianluca Vialli è morto

venerdì, Gennaio 6th, 2023

di Paolo Tomaselli

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore aveva 58 anni, da tempo era in cura per un tumore al pancreas

Gianluca Vialli è morto

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore, campione e simbolo di Sampdoria, Juventus, Chelsea e della Nazionale italiana, aveva 58 anni. Da tempo era in cura per un tumore al pancreas. Il 14 dicembre scorso aveva annunciato il ritiro dalla Nazionale, in cui ricopriva l’incarico di capo della delegazione. «Circondato dalla sua famiglia è spirato la notte scorsa dopo cinque anni di malattia affrontata con coraggio e dignità», ha scritto la sua famiglia in una nota. «Ringraziamo i tanti che l’hanno sostenuto negli anni con il loro affetto. Il suo ricordo e il suo esempio vivranno per sempre nei nostri cuori».


A Reggio Emilia, il 15 novembre 2020, durante la terza ondata della pandemia, l’Italia si gioca la Nations con la Polonia e deve fare gol. Il c.t. Mancini è a casa, positivo al Covid. Vialli è accanto alla panchina.

Un pallone esce, lui non lo calcia ma lo prende in mano e lo bacia.

Quel gesto del vecchio marine, in un attimo mostra agli azzurri un approdo sicuro e arriva dritto al cuore: perché dentro quel bacio c’è la passione per la maglia azzurra, l’affetto per la palla, vecchia amica di sempre, la voglia di stupire e di lottare in un momento complicato, dentro e soprattutto fuori dal campo.

Ci sono tanti modi per ricordare il capitano coraggioso Gianluca Vialli, ma questa immagine scalda l’anima e nel suo piccolo racchiude un po’ tutto: la fede cieca nel pallone e nella vita, la lotta alla malattia, il suo istinto di capobranco e la sua sensibilità, l’energia che fino agli ultimi giorni è sembrata inesauribile e la nostalgia per quello che sapeva di poter perdere, di lì a poco.

Una bufera di emozioni, che Luca ha imparato a governare negli ultimi anni in pubblico da capodelegazione azzurro. Debuttò nel novembre 2019, già nel pieno della lotta al tumore. Il suo ruolo era quello di saper trovare le parole giuste per accogliere i nuovi arrivati e motivare il gruppo: «Molti di voi sono come me, appassionati di mantra — raccontava ai giocatori — e allora vi dico che un viaggio di mille chilometri inizia con un singolo passo».

Chissà quante volte se l’è ripetuto nel suo cammino con la malattia. Senza retorica, ma con la profondità di chi ha imparato ad apprezzare il viaggio, sempre con il vento in faccia.

Il ragazzo ricco di Cremona, negli anni 80 coi suoi riccioli e i suoi enormi polpacci al vento, aveva la fisicità esuberante di quegli anni spensierati, era lo Stradivialli dipinto da Brera.

Tra 1987 e il 1990, tra i gol alla Svezia che ci riportarono all’Europeo e l’esplosione di Schillaci nelle Notti Magiche, si confermò la vera locomotiva calcistica, una forza della natura. Poi lo scudetto del 91, il culmine della Sampd’oro con Mancini gemello del gol; la finale di Coppa Campioni persa con il Barcellona nel 1992, l’addio al presidente Mantovani.

Quindi la seconda vita, juventina: i capelli rasati, il rapporto non facile con Baggio, il passaggio da Trap a Lippi, i muscoli del capitano che alzano al cielo di Roma la Champions con la Juve nel 1996.

Infine gli anni da pioniere al Chelsea, giocatore e tecnico: Londra era diventata la sua città, lì si era costruito una bellissima famiglia. Vialli giocatore era ingombrante, scomodo. Nell’armadietto alla Juve aveva la foto del c.t. Sacchi «nemico» del momento.

A pensarci, fa sorridere e piangere al tempo stesso, per l’addio di Luca di poche settimane fa all’Italia: «Al termine di una lunga e difficoltosa trattativa con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia in modo da essere in grado, al più presto, di affrontare nuove avventure e condividerle con voi».

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Pelé è morto, il re del calcio aveva 82 anni

venerdì, Dicembre 30th, 2022

di Carlos Passerini

Pelé è morto, il re del calcio aveva 82 anni

Pelé, uno dei più importanti calciatori della storia, è morto oggi a San Paolo del Brasile. Da tempo Edson Arantes do Nascimento — questo il suo nome all’anagrafe — era malato di tumore al colon; nelle ultime settimane era stato ricoverato e il 21 dicembre i medici avevano parlato di «condizioni in peggioramento» a causa di «una insufficienza renale e cardiaca».


«Sono pronto a giocare novanta minuti e pure i supplementari». Era il settembre del 2021, aveva appena lasciato la terapia intensiva dell’ospedale Albert Einstein di San Paolo dopo l’intervento per la rimozione di un tumore al colon. La situazione risultava però già grave. Lo sapevano tutti, lo sapeva lui. Ma anche quella volta Pelé aveva fatto Pelé, caricandosi la squadra sulle spalle, col suo inimitabile sorriso, autentico e infinito, cercando di rassicurare il mondo intero, in ansia per le sue condizioni di salute.

Aveva concluso il messaggio agli 8 milioni di tifosi su Instagram scrivendo tre semplici parole: «Amore, amore e amore!». Questo era Edson Arantes do Nascimento. E questo sarà sempre.

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APPROFONDIMENTI

Pelé: la storia di O Rei, tre volte campione del mondo, unico nel calcio

O Rei non ce l’ha fatta. L’aveva promesso: la partita sarebbe stata lunga e non si sarebbe arreso neanche al 90’. Così è stato. La sua sfida si è conclusa quindici mesi dopo quel primo intervento. Ha combattuto fino all’ultimo, come ha sempre fatto in vita sua, sul campo di calcio e fuori. Troppo forte però stavolta l’avversario. Eppure non ha smesso un minuto di lottare, di crederci, di giocare la sua partita, assicura chi gli sta vicino.

Negli scorsi mesi era stato sottoposto all’ennesimo ciclo di chemioterapia e fin da subito le indiscrezioni filtrate dall’ospedale avevano lasciato poche speranze. Secondo diversi media brasiliani, la situazione negli ultimi tempi era peggiorata, col cancro che si era esteso ad altri organi. Si sono poi aggiunte complicazioni renali e cardiache. S’è capito che non c’era più nulla da fare quando nei giorni scorsi i figli lo hanno raggiunto all’ospedale per l’ultimo saluto, quando hanno capito che il padre non sarebbe più tornato a casa.

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«Tutto ciò che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace», il ricordo dei figli

Pelé non si è mai arreso. Debilitato ormai da anni, anche per via di un serio problema all’anca che ne condizionava i movimenti e che lo costringeva a usare il bastone per muoversi. Ha affrontato il suo calvario con la stessa forza e la stessa tenacia che aveva sul campo e che gli hanno permesso di vincere tre Mondiali, 1958, 1962 e 1970, unico calciatore della storia a riuscirci. Di segnare oltre 1281 gol in 1363 partite fra Santos, New York Cosmos e Brasile. Di diventare calciatore del Secolo per la Fifa, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics, nonché Pallone d’oro del secolo, unico giocatore al mondo.

Ma soprattutto di diventare il Re, un Re buono, partito dall’inferno giocando con un pallone di stracci e arrivato in cielo.

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Brasile, le lacrime di un popolo l’ultimo saluto a Pelè nello stadio del Santos

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Emiliano Guanella

RIO DE JANEIRO. Era una notizia che il Brasile aspettava da giorni, è arrivata nel mezzo delle feste, proprio a ridosso del Capodanno e a due giorni dall’insediamento del nuovo governo del redivivo Lula da Silva. O Rei se ne va dopo un’agonia durata un mese presso il reparto oncologico dell’ospedale Albert Einstein, dove è entrato il 29 novembre, ufficialmente per dei controlli di routine a seguito del trattamento contro il tumore al colon che gli avevano tolto due anni fa. Pochi giorni dopo si è capito che la situazione era seria, dalla clinica è filtrata la notizia che oramai c’era spazio solo per cure palliative, le metastasi stavano avanzando. Sembrava uno scherzo del destino, Pelé che lotta per la vita proprio nel mezzo dei Mondiali in Qatar e da allora si è formato un capannello di giornalisti in pianta stabile fuori dall’ospedale. La notizia è arrivata con il Brasile sospeso tra Natale e Reveilon, con la stampa attenta alle mosse di Lula, con le incertezze di un Paese che sta cambiando anno e guida politica, lasciandosi alle spalle l’esperienza assai controversa di Jair Bolsonaro. Ma si tratta di Pelè, non di un campione qualsiasi e quindi logicamente tutto si è fermato.

I canali televisivi hanno interrotto la programmazione, molti conduttori in studio non hanno trattenuto le lacrime e sono partite le dirette fiume infarcite dai tanti “coccodrilli” già pronti da un tempo. Innumerevoli le testimonianze di calciatori, artisti, commentatori. Un lungo omaggio e ricordo che è viaggiato nei vari luoghi simboli della vita del Re, ad iniziare da Santos, la sua città e il suo club di sempre. Allo stadio di Vila Belmiro hanno preparato da una settimana due grandi tende bianche, non è un segreto per nessuno che il suo desiderio fosse essere salutato proprio lì, a pochi passi dall’Oceano atlantico e dalla sua casa di Guaruja, il rifugio di tutta una vita. La logistica è tutta da disegnare e preoccupa non poco, perché Santos è come Rimini, qui siamo in estate e quindi tutto è pieno. Decine di migliaia di tifosi si sono riversati davanti allo stadio, vogliono essere lì per riceverlo, per dirgli bentornato a casa. Obrigado, grazie, è la parola che percorre l’animo di 210 milioni di brasiliani, i nonni hanno raccontato di lui ai genitori che oggi fanno lo stesso con i figli. Nella patria del futebol lui è sempre stato considerato oltre, sopra ogni limite ed ogni record e saranno tantissimi i calciatori, allenatori ed addetti al settore a voler rendergli omaggio. Su tutti Neymar, anche lui un menino del Santos, amico di famiglia da anni, che è corso da Parigi per l’ultimo saluto.

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Il calcio in lutto: addio Pelé, la leggenda brasiliana aveva 82 anni

venerdì, Dicembre 30th, 2022

La scomparsa del più grande giocatore di tutti i tempi, insieme a Maradona, ha sconvolto gli appassionati di calcio dell’intero pianeta

© ipp

Dopo Diego se ne va un’altra leggenda: il calcio piange O Rei Pelé, l’unico giocatore ad avere vinto tre campionati del mondo per nazioni. Fosse solo questo il record del numero dieci per eccellenza (almeno fino a quando Maradona non si è affacciato sulla soglia del pallone mondiale)… Per anni si è discusso su chi sia stato il più grande e la risposta non ci sarà mai. Più completo il brasiliano (ambidestro, potente fisicamente, capace di segnare gol di testa impossibili, come quello nella finale del 1970 all’Italia), più decisivo l’argentino (in grado di trascinare squadre non irresistibili verso le vette più alte e pronto a mettersi in gioco nel calcio europeo). 

Allora limitiamoci ai numeri. Detto delle tre coppe del mondo (1958, 1962 e 1970, con il 1966 gettato via per le botte prese da bulgari e portoghesi), ha giocato in sole due squadre di club: Santos e Cosmos New York, nella fase finale della sua carriera. Pelé ha conquistato: 10 campionati dello stato di San Paolo, quattro Tornei Rio-San Paolo, 6 campionati brasiliani, cinque consecutive Taça Brasil, due edizioni della Copa Libertadores, altrettante della Coppa Intercontinentale, la prima edizione (su due disputate) della Supercoppa dei Campioni Intercontinentali e un Campionato NASL con i New York Cosmos negli Usa.

La sua rete realizzata alla Svezia nella finale del 1958 è il più grande gol nella storia delle finali della Coppa del Mondo FIFA. Detiene il record di reti realizzate in carriera, 1281 in 1363 partite, mentre in gare ufficiali ha messo a segno 757 reti in 816 incontri con una media realizzativa pari a 0,93 gol a gara. Fa parte della National Soccer Hall of Fame ed è stato inserito dal settimanale statunitense Time nel “TIME 100 Heroes & Icons” del XX secolo. È stato dichiarato “Tesoro nazionale” e “Patrimonio storico-sportivo dell’umanità“. E’ il Calciatore del Secolo per la FIFA, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics (IFFHS) e Pallone d’oro FIFA del secolo, ha poi ricevuto il Pallone d’oro FIFA onorario.

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Le lacrime di Paola Egonu: “Mi chiedono ancora perché sono italiana, è intollerabile”

lunedì, Ottobre 17th, 2022

Angelo Di Marino

INVIATO a APELDOOM. Finisce in lacrime il Mondiale di Paola Egonu. La migliore pallavolista del pianeta ha gli occhi lucidi prima di mettere al collo la medaglia di bronzo. «Mi chiedono perché sono italiana”: questo l’urlo sotto voce di una campionessa stanca. Perché si può essere stanchi anche a soli 23 anni, l’età di questa ragazza italiana che qualcuno ancora prende di mira. Il tutto racchiuso in un video di pochi secondi che fa il giro della rete con la velocità della luce. Per lei la solidarietà di tutto il mondo dello sport, a partire dalla Federvolley.

Volley, le lacrime di Paola Egonu: “È la mia ultima partita in Nazionale. Mi hanno chiesto perché sono italiana”

Ma gli occhi non mentono mai e quelli di Paola vorrebbero guardare un orizzonte migliore, senza razzismo, senza stupidità. «Non è stato facile scendere in campo, cantavo l’inno e piangevo per il dolore e per quanto sono ferita», lo sfogo rappresenta al meglio lo stato d’animo di chi in un momento come questo dovrebbe pensare solo a giocare e divertirsi. «Quando mi chiedono perché sono italiana, io mi chiedo perché rappresento persone del genere. Io ci metto l’anima e il cuore, non manco mai di rispetto, per questo fa ancora più male». Egonu è un bersaglio facile: donna giovane, di successo, elegante, mai banale, attenta ai diritti di tutti. Negli anni haters, razzisti, omofobi hanno seminato la sua strada di attacchi, insulti, schiaffi. Che fanno male, anche se sono virtuali. “È impensabile che nel 2022 possano accadere ancora cose del genere, uno che ti grida “perché sei italiana”. Non è possibile, è intollerabile». Deve far tanto male che quella maglia azzurra, portata fieramente sulle spalle in tante battaglie sportive, adesso le pesa. Troppo, tanto da pensare di toglierla, almeno per un po’. «Vorrei fermarmi, ci vuole una pausa. Spero che venga capito e non interpretato come una mancanza di rispetto. Mi serve una pausa per me stessa per poi tornare e dare il meglio in campo», dice a La Stampa nel bel mezzo di quello che sembra l’ultimo giorno di scuola. Il rompete le righe. Ci sarà tempo per riparlarne, anche perché il suo manager, Marco Raguzzoni, cerca di aggiustare il tiro: «Paola rispetta la maglia azzurra, per lei è un onore. Ma adesso è molto provata». Gli ultimi giorni sono stati i peggiori per lei, prima per gli errori commessi nel match con il Brasile e poi per il distacco dalle compagne di sempre. Quelle dell’Imoco e della Nazionale. Una per tutte Monica De Gennaro, il libero del team di Mazzanti, con la quale ha un rapporto speciale. Ieri anche De Gennaro piangeva.

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F1, Gp Giappone a Suzuka: la gara in diretta. Bandiera rossa per la pioggia con Verstappen 1°. Incidente Sainz

domenica, Ottobre 9th, 2022

di Daniele Sparisci

Gara sotto la pioggia. Max Verstappen può laurearsi campione per la seconda volta, la Ferrari punta a rimandare la festa

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Ore 08:38 – Con gara dimezzata Verstappen non vincerebbe il titolo

Deve guadagnare 8 punti su Leclerc e 6 su Perez, ma in caso di gara accorciata non ci riuscirebbe comunque anche in caso di vittoria. Il conto alla rovescia indica 90 minuti alla fine della corsa.

Ore 08:31 – Anche Norris duro con la direzione di gara

«Ma che c… Come è potuto succedere?Abbiamo perso una vita in una situazione simile anni fa. Rischiamo la vita in condizioni così. Vogliamo correre, ma tutto questo è stato inaccettabile».

Ore 08:23 – Gasly sotto investigazione, andava a 250 km/h con la bandiera rossa

I commissari hanno aperto un’indagine su Gasly per eccesso di velocità in regime di bandiera rossa. Il francese per raggiungere il gruppo dietro alla safety car ha toccato punte di 250 km/h.

Ore 08:20 – Si rischia un’altra Spa 2021

L’anno scorso la partenza del Gp del Belgio fu rimandata più volte per pioggia e scarsa visibilità. Finì con due giri dietro alla safety car che omologarono la vittoria di Verstappen fra feroci polemiche. Oggi le regole sono cambiate e una corsa così corta non sarebbe valida.

Ore 08:15 – Il padre di Jules Bianchi: «Nessun rispetto per i piloti»

Philippe Bianchi, papà del pilota francese morto per le conseguenze del terribile schianto del Gp del Giappone 2014, è durissimo contro la Federazione sulla storia del trattore in pista: «Nessun rispetto per i piloti, nessun rispetto la memoria di Jules».

Ore 08:09 – Sainz 2: «Perché rischiare una partenza così?

«In queste condizioni non si vede, mi preoccupano gli incidenti, come in passato. Neanche dietro la safety car si vede niente, perché rischiare? Per questo noi piloti siamo sorpresi che questo succeda ancora».

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Ore 08:02 – Sainz: «Non si vedeva niente, ero nelle mani di dio»

La gara dello spagnolo è finita dopo pochi metri, è stato vittima dell’acquaplaning: «Non si vedeva nulla, erano condizioni quasi impossibili. La mia uscita a muro? Sono cose che succedono in queste condizioni, la verità è che non vedevo niente. Sono andato in acquaplaning e testacoda, ero fermo a metà pista e sapevo che non mi vedevano: ero nelle mani di Dio».

Ore 07:53 – La spiegazione della Fia sul trattore

«La safety car era stata mandata in pista e la gara neutralizzata. La macchina numero 10 (Gasly ndr) che aveva subito un danno e ha fatto il pit-stop in regime di safety car, stava guidando ad alta velocità per raggiungere il gruppo. Le condizioni sono peggiorate e la bandiera rossa è stata esposta prima che (Gasly ndr) passasse nel luogo dell’incidente del giro precedente». Insomma la bandiera rossa era già stata esposta e il francese avrebbe dovuto transitare più piano, secondo la Fia.

Ore 07:50 – Slitta la ripartenza

Troppa acqua in pista non si partirà alle 7.50, la direzione di gara posticipa il via.

Ore 07:46 – Ripartiranno così (top 10)

Verstappen, Leclerc, Perez, Ocon, Hamilton, Alonso, Russell, Ricciardo, Tsunoda e Schumacher.

Ore 07:36 – La gara riparte alle 7.50

Sarà una partenza dietro alla safety car, alle 7.50 riprenderà la gara.

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